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Il palazzo comunale di Legnano

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«Bisogna pilotarla questa qua». L’eccezione che conferma la regola è costituita dal fatto che l’inesperta neoassunta in Amga, l’azienda municipalizzata con il 65 per cento in mano al Comune di Legnano, ancora non sa come funziona il sistema. Sotto il coordinamento del sostituto procuratore di Busto Arsizio Nadia Calcaterra, la Guardia di Finanza di Milano ha arrestato Gianbattista Fratus, sindaco leghista del Comune lombardo, l’assessore ai Lavori pubblici Daniela Lazzarini, e il vicesindaco Maurizio Cozzi (quest’ultimo in carcere e gli altri due ai domiciliari), per nomine pilotate, incarichi affidati a chi era incompatibile o per ottenere un appoggio elettorale.

L’EDITORIALE: LA VERGOGNA DELLE VERGOGNE

Tra le conversazioni intercettate ce n’è una, peraltro posta alla base delle esigenze cautelari per rischio di inquinamento probatorio, che dimostrerebbe, anche secondo il gip Piera Bossi (ironia della sorte: lo stesso cognome di chi agitava il cappio contro Roma ladrona), l’«esistenza di una fitta rete di relazioni personali che potrebbero agevolare il turbamento o condizionamento di tutti coloro che sono a conoscenza delle vicende in esame riconducibili agli indagati».

LA CRICCA

La rete degli amici degli amici, che colloca nei posti chiave, ovvero nei settori interni dei Comuni e delle aziende municipalizzate, persone gradite, manipolabili e compiacenti perché presumibilmente «riconoscenti in futuro della scelta operata», scrive il gip di Busto Arsizio, prospera anche a Legnano.

L’INCHIESTA SUL POLTRINIFICIO LOMBARDO
CON PIÚ CONSIGLIERI CHE DIPENDENTI

Da qui «l’elevata capacità manipolativa e impositiva» di indagati a cui il pm Calcaterra, non a caso, attribuisce un «fortissimo senso di illegalità», come ha sbandierato ai quattro venti durante la conferenza stampa tenutasi per illustrare l’esito di un’indagine finita, tra l’altro, al centro dello scontro M5S-Lega. Un’illegalità elevata a sistema lombardo se si considera che soltanto pochi giorni prima la Dda di Milano aveva scoperchiato una nuova tangentopoli, stavolta all’ombra della ‘ndrangheta, incentrata su una serie di episodi di corruttela e turbativa d’asta ruotanti attorno all’accentramento del sistema delle partecipate. Dal “sistema parafeudale” di Varese al mazzettificio milanese a Legnano, il copione si ripete.

SISTEMA VARESE

Gioacchino Caianiello, ras di Forza Italia in Lombardia e presidente onorario dell’associazione Agorà (corrente politica del partito di Berlusconi), pur non ricoprendo incarichi istituzionali (poiché già condannato in via definitiva per concussione), servendosi di un gruppo fidato di vassalli, valvassori e valvassini che lui stesso ha contribuito in maniera determinante a fare eleggere o nominare, piloterebbe l’assegnazione di poltrone. Un poltronificio lombardo che consiste in consulenze da parte di enti pubblici in favore di studi professionali e nomine all’interno di società pubbliche del Varesotto, dietro retrocessione di tangenti nell’ordine del 10 %. È il cosiddetto sistema della “decima”, di cui Caianiello sarebbe il grande “burattinaio”.

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SISTEMA MILANO

Qui il presunto dominus del sistema sarebbe l’imprenditore Daniele D’Alfonso, che opera all’ombra della famiglia di ‘ndrangheta dei Molluso di Platì, alla quale convoglia importanti risorse, drenate tramite condotte corruttive ai danni della pubblica amministrazione. È lui a trovare il personaggio che rappresenta la sintesi, nella città di Milano ed in Lombardia, di ciò che gli serve per raggiungere il suo obiettivo: Pietro Tatarella, politico già affermato a livello comunale e regionale, pubblico amministratore in posti chiave del Comune e in costante contatto con imprenditori. La strategia è quella di inserire all’interno di importanti società pubbliche o di enti territoriali uomini di fiducia attraverso spregiudicate manipolazioni delle procedure ad evidenza pubblica. Con la conseguenza di costi enormi per gli stipendi di migliaia di dipendenti e debiti per centinaia di milioni di euro, come stigmatizza la Corte dei Conti ogni qualvolta passa al setaccio le partecipazioni societarie di Regioni e Comuni, e la parte del leone la fa sempre la Lombardia. Per far funzionare il sistema dei “carrozzoni” servono più di un miliardo e 323 milioni ma i debiti sono per due miliardi e 292 milioni.

I NUOVI SVILUPPI

Ma torniamo a Legnano, dove le indagini avrebbero fatto luce su una gestione improntata a sistematiche ingerenze nella municipalizzata Amga da chi formalmente non ricopre cariche, come l’indagata Lazzarini, la cui condotta si spingerebbe ben oltre il suo ruolo di segretaria cittadina di Forza Italia di Legnano. Del resto, parallelamente alla sua nomina ad assessore si scatenò uno tsunami politico, con la spaccatura nella maggioranza e la diaspora di esponenti del partito del sindaco, cioè la Lega, che determinò uno stallo amministrativo fino a giungere alla soglia del commissariamento. Da rilevare che questo presunto coacervo di corruzione elettorale e turbativa d’asta è emerso in soli cinque mesi di indagini, dall’ottobre 2018 al marzo 2019. La prima vicenda è collegata alla nomina di un consulente in materia amministrativa, fiscale, contabile e societaria per la municipalizzata Europa service, la seconda è relativa alla nomina del dirigente per lo sviluppo organizzativo del Comune di Legnano e la terza alla nomina del direttore generale di Amga.

LA SELEZIONE

Emblematica la conversazione intercettata che attesterebbe le manovre extraconcorsuali orchestrate dagli indagati per individuare il nuovo dg di Amga. Una faccenda, secondo l’indagato Cozzi, di una «semplicità disarmante», è detto nelle carte dell’inchiesta. «Una volta che si individua la persona, basta… fa la gara, finito». Ecco perché bisogna pilotare le persone e le gare. Appena la Lazzarini apprende la «meravigliosa notizia» delle dimissioni del dg Lorenzo Fommei scatta tutta una serie di operazioni, dalla preselezione dei candidati di «gradimento» alla posticipazione della pubblicazione del bando in modo da avere il tempo di individuare il successore e quindi condizionare la scelta. «Accordi intestini e carbonari», scrive il gip Bossi nell’elencare gli argomenti a fondamento dell’illiceità sistematica ravvisata dalla Procura di Busto Arsizio. Il gip Mascarino di Milano, invece, aveva descritto un vero e proprio sistema «parafeudale» in riferimento all’inchiesta della Dda di Milano.


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