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Per i giovani l’Italia ha deciso di spendere, ma nelle aree più ricche del Paese. È vero che cinque anni fa, quando sono state erogate le risorse comunitarie a sostegno delle politiche giovanili, tutte le regioni italiane avevano i requisiti per farne richiesta. Ma alla fine l’Italia ha destinato più soldi, molti più soldi, al Nord che al Sud.

Basilicata e Calabria, nonostante tassi di senza lavoro almeno doppi rispetto a Lombardia e Veneto, hanno ricevuto un terzo delle risorse. E non si può opporre a questi travasi di danaro a senso unico la questione delle popolazioni più numerose: dove il problema ha dimensione gigantesche, come nel nostro Mezzogiorno, lo sforzo dovrebbe essere doppio, perché far partire una nave arenata richiede molta più energia che far accelerare la navigazione ad una nave già in moto.

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L’Italia non solo non è un Paese giovane, ma non fa per i giovani, specialmente per alcuni di loro. O meglio, fa qualcosa ma la fa male. L’utilizzo dei fondi comunitari per il sostegno alle politiche di contrasto alla disoccupazione giovanile ne è un esempio lampante. Nonostante i tanti sforzi, la montagna italiana ha prodotto fin qui il più classico dei topolini. Nel 2013, quando gli Stati membri dell’Ue si ritrovarono a negoziare il bilancio pluriennale dell’Unione europea per il ciclo in corso (2014-2020), si decide di dedicare un capitolo di spesa specifico per la disoccupazione giovanile, vera e propria piaga socio-economica in molti Paesi.

Il programma, più noto come “Garanzia giovani”, prende il nome di Iniziativa per l’occupazione giovanile (YEI, secondo l’acronimo inglese), fondo che fa parte dell’insieme dei vari fondi strutturali europei. Si rivolge gli europei di età compresa tra i 15 e i 24 anni, ma il governo Letta chiese e ottenne che in Italia si estendesse la garanzia anche alla fascia 25-29 anni.

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Secondo il progetto originale la YEI nasce per sostenere quelle regioni europee dove il tasso di disoccupazione giovanile eccede il 25%. Dando un’occhiata alla situazione italiana, regioni più ricche e con tassi di senza minori si sono viste assegnare più risorse. Così la Calabria, con un tasso di disoccupazione giovanile doppio di quello Lombardia, si è vista assegnare dal governo un terzo di quanto dato alla regione del nord. “È il governo che ripartisce i fondi”, ricordano dalla Commissione europea. “A differenza dei fondi di coesione l’iniziativa per i giovani non è regionale ma nazionale”. Bruxelles eroga i soldi a Roma, e poi qui si divide la torta. L’Italia sembrerebbe proprio aver sbagliato a fare le parti, e il risultato è che c’è ancora fame (di lavoro). Oltre la metà dei programmi avviati non è andato oltre lo stage, e una volta finito il giovane si è ritrovato punto e a capo.

Un problema, soprattutto per il sud, dove il tasso di senza lavoro tra gli under 25 rimane estremamente elevato. Governo ed enti locali, in sostanza, trovano soluzioni temporanee che non risolvano il problema. All’inizio si misero sul piatto 6,4 miliardi di euro, aumentati a 8,8 miliardi nel 2016, quando si procedette alla revisione di medio termine del budget comune. In totale l’Italia si è vista assegnare 1,8 miliardi, eppure sula base dei dati disponibili sulla piattaforma “Garanzia giovani” del governo, mettendo assieme le quote assegnate alle Regioni dal piano nazionale, il totale delle risorse si ferma a poco più di 1,4 miliardi di euro. Mancano all’appello 400 milioni di euro. Ma c’è di più. A oggi l’Italia ricevuto dall’UE poco più di un miliardo. Stando ai dati della Commissione europea, l’Italia oggi deve ancora ricevere il 43% di ciò che l’Europa ha messo a disposizione. Ma non è questo l’unico problema dell’Italia. Il vero problema è che in Italia l’iniziativa giovani non ha funzionato. E’ stata la Corte dei conti europei a mettere in luce le criticità del sistema Italia, nel suo rapporto di valutazione.

Qui si riconosce che l’Europa da sola non basta, e che obiettivamente chiunque si trova nella “impossibilità” di raggiungere l’intera popolazione al di fuori del mondo del lavoro con le sole risorse messe a disposizione dal bilancio UE. Servirebbe contributi nazionali aggiuntivi, ma dall’Italia sembra essere arrivato poco. Non a caso anche per lo Stivale vale la raccomandazione di “dare priorità alle misure a favore dell’occupazione giovanile nei propri bilanci nazionali”. Meno male che ci sono i fondi europei, dunque. Anche quello fatto non è molto. Anzi. L’Italia rimane un Paese che non dà sbocchi.

“L’occupazione è la destinazione più comune per le ‘uscite positive’ in tutti gli Stati membri visitati, eccetto l’Italia, dove i tirocini rappresentano il 54 % di queste”. Per i revisori contabili dell’UE, i conti non tornano in Italia. I programmi offerti conducono agli stage, non al mondo del lavoro. Come se non bastasse, si sono verificati ritardi “significativi”, vale a dire di almeno due mesi, nei pagamenti dei tirocinanti. Non finisce qui. La Garanzia giovani si articola in quattro fasi: registrazione al programma, tracciamento del profilo personale/professionale, proposta di offerta, accettazione dell’offerta.

In Italia la Corte dei conti europea ha rilevato che la data a partire dalla quale viene calcolato il periodo di quattro mesi entro cui presentare un’offerta agli inattivi (inizio della terza fase) in realtà è la data in cui una persona viene valutata per stilarne il profilo (inizio della seconda fase). Nella pratica tutto questo vuol dire che il tempo effettivo di attesa per il giovane è addirittura più lungo dei quattro mesi previsti.


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