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La sede del Tar del Lazio

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Lentamente, ma qualcosa si comincia a muovere. E per quello ‘scippo al Sud’, come questo giornale lo ha definito dal suo primo numero, si profilerebbe una via di soluzione.

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I territori del Mezzogiorno potrebbero vedere un adeguamento delle risorse loro assegnate per poter offrire ai cittadini servizi pubblici adeguati. E, da parte loro, gli amministratori non avrebbero più ‘scuse’ per non erogarli. Sono due le novità importanti che potrebbero risollevare le sorti del Sud.

LEGGI LA NOTIZIA DEI RICORSI E DELLA RIVOLTA DEI COMUNI

La prima è particolarmente interessante perché viene dal basso, da 65 Comuni del Sud che hanno presentato ricorso al Tar del Lazio contestando le modalità di ripartizione del Fondo di solidarietà per il 2019, ripartizione, sostengono i sindaci, avvenuta senza rispetto della procedura prevista per legge e con un semplice comunicato del Ministero dell’Interno del 17 gennaio 2019.

LEGGI LA NOTIZIA SU COME SI E ALLARGATA LA RIVOLTA DEI COMUNI

La ripartizione deve invece essere stabilita con un decreto del Presidente del Consiglio, sentito il Ministero dell’economia e il ministero dell’Interno e tenendo conto degli accordi avvenuti con gli enti locali. Con i ricorsi i Comuni chiedono l’annullamento del comunicato del Viminale. E il Tar del Lazio, questa è la notizia, dopo aver valutato le ragioni degli enti, ha emesso un’ordinanza in cui si chiede alle tre amministrazioni coinvolte nel processo di ripartizione del Fondo, Presidenza del Consiglio, Ministero dell’Interno e Ministero dell’Economia, di trasmettere entro 30 giorni una “documentata relazione” per quanto di rispettiva competenza, “nella quale siano indicati gli eventuali atti presupposti sulla base dei quali il Ministero dell’Interno ha adottato la nota impugnata con il ricorso”. Cosa contestano i Comuni che hanno presentato ricorso?

L’EDITORIALE DI ROBERTO NAPOLETANO: VERGOGNE ITALIANE

In primo luogo il fatto che il Ministero dell’Interno si sia limitato a ripartire la stessa cifra dello scorso anno mantenendo una decurtazione del fondo di 500 milioni. La decurtazione, a favore dello Stato, era prevista dalla legge come intervento straordinario per far fronte alle esigenze dettate dalla crisi economica, ma doveva terminare con il 2018. Invece il Ministero dell’Interno, dicono i Comuni, l’avrebbe di fatto prorogata in maniera arbitraria. La stessa contestazione è stata avanzata dall’Anci con un proprio ricorso.

L’EDITORIALE DI ROBERTO NAPOLETANO: ZERO ASSOLUTO

Inoltre, riproponendo agli enti gli stessi importi del 2018, non si è applicato l’incremento delle quota percentuale di risorse oggetto di perequazione, rimasta al 45% mentre nel 2019 sarebbe dovuta arrivare al 60% e non si è tenuto conto delle modifiche intervenute nei fabbisogni reali. Con il ricorso i Comuni hanno acceso un riflettore anche sulla annosa questione dei criteri per la determinazione del fabbisogni standard, in base ai quali per i servizi non obbligatori, come gli asili nido, si prevedono zero euro se un ente ancora non ha attivato il servizio. E parte il circolo vizioso: arrivano meno soldi e gli asili nido non si realizzeranno mai.

La seconda novità riguarda la ripartizione degli investimenti delle amministrazioni centrali dello Stato. Nei giorni scorsi il Presidente del Consiglio ha firmato il decreto attuativo della famosa quota del 34% di investimenti da destinare alle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna. Si tratta di una percentuale proporzionale alla popolazione residente, prevista da un decreto della fine del 2016 (governo Gentiloni) ma fino ad ora la norma era rimasta lettera morta e al Sud andava soltanto il 28%. Dopo la firma del decreto è quindi partita la procedura di parametrizzazione da parte di tutte le singole amministrazioni centrali, una sorta di riassetto interno che dovrà portare, presumibilmente con la prossima legge di bilancio, ad assicurare ai territori del Mezzogiorno il 6% di risorse in più. Con il decreto del Presidente del Consiglio il vincolo del 34% viene esteso a Anas e Rfi a partire dai contratti in essere con il Ministero dei Trasporti.


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