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Erika Stefani in un fotomontaggio da Pinocchio

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Una mezza verità, una mezza bugia: è questione di gusti. Quel che è certo è che i numeri Erika Stefani, ministra per gli Affari regionali e le autonomie in quota Lega, ha presentato trionfalmente qualche mese fa, spacciando il Mezzogiorno per il paradiso dell’assistenzialismo, sono quantomeno parziali e male interpretati.

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EQUIVOCO O MALAFEDE

I dati, provenienti dalla Ragioneria dello stato, sono di per sé giusti e mostrano come Veneto e Lombardia, ad esempio, prendano meno di Calabria e Campania sull’istruzione scolastica: 477 e 459 euro per abitante contro 636 e 685. Tutto giusto, peccato che questa sia soltanto la punta dell’iceberg. Per dirla con i numeri: i dati tanto cari alla Stefani valgono appena il il 22,5% del totale. Il restante 77,5% diventa visibile agli occhi solo se si sposta lo sguardo sulla spesa regionalizzata del settore pubblico allargato: regioni, province, comuni, comunità montane, previdenza-assistenza, società a controllo pubblico e molto ancora. 

LE PROPORZIONI

In questo contesto la spesa per diritti  sociali e istruzione primaria destinata al Sud vale poco più del 5%. L’intero bottino che finisce nelle casse del Mezzogiorno si ferma invece al 28,3%, ben lontano dal 34,3% che spetterebbe al Sud se si tenesse conto della popo lazione. Un 6% in meno di spesa, pari a 61,5 miliardi di euro, che per osmosi passa al Centro-Nord, regalando a una popolazione che vale 65,7% del totale un incasso del 71,7%.

GLI EFFETTI

L’equivoco della Stefani  non è solo una svista, è un pericolo. Perché distoglie l’attenzione o, peggio, dà per risolto un problema che continua a segnare la vita di milioni di persone. Di mamme che non hanno un asilo nido in cui lasciare i propri bambini (la spesa storica in molti comuni del Mezzogiorno è zero, in un grande centro come Reggio Calabria è di 19 euro l’anno a bambino), di anziani che non sono adeguatamente assistiti, di tutte le persone che devono rinunciare a un livello di vita dignitoso. 

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Dagli anni Settanta a oggi la forbice fra il reddito pro capite al Nord e al Sud è passata è andata allargandosi: oggi il reddito annuo di un meridionale vale metà di quello di un connazionale nato da Roma in su: 18.700 euro contro 33.400 euro. Nessuno stupore, quindi, se anche i dati Istat sulla  segnalano che il 10% delle famiglie meridionali vive in una condizione di povertà assoluta. Niente cure,  difficoltà estrema a procurarsi cibo, vestiti, a pagare le bollette. In questa condizione versano il 5,8% delle famiglie del Nord e il 5,3% di quelle del Centro. Sempre troppo, ma pur sempre la metà rispetto al Meridione.

Eppure la retorica del Sud fannullone e coccolato è dura a morire, anche davanti all’evidenza. Persino Checco Zalone, nei panni dell’impiegato pubblico che sogna il posto fisso, da anni non abita più qui

I numeri, sfacciati e senza pregiudizi, raccontano un’altra storia: Il Nord con 1,47 milioni di dipendenti pubblici doppia i 786 mila del Sud. Chissà cosa ne penserebbe la ministra Stefani.

 


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