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Roberto Calderoli

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«Lo Stato non ha fatto il buon padre di famiglia, ha dato quello che gli chiedeva la moglie, quello che era necessario per i figli, e ogni volta ha finito i soldi a metà mese. Tutto questo si traduce in debito pubblico. Io avevo chiesto che lo si facesse un bilancio di previsione e si calcolassero i costi standard. Lo Stato incapace non è andato avanti perché temeva di mostrare le proprie inefficienze. Ho provato a cambiare la Costituzione, ma dopo il referendum ho preso atto che mi dovevo muovere all’interno della Carta». A parlare è Roberto Calderoli, volto storico della Lega, vicepresidente del Senato e autore della legge sul federalismo fiscale (42/2009), la stessa che prevede l’attuazione dei fabbisogni standard e il superamento della spesa storica.

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Eppure, a guardare le bozze sull’autonomia, il criterio della spesa storica resiste. Sarà adottato per tre anni, prima del passaggio ai fabbisogni standard.

«La prima volta che ho tentato di standardizzare la spesa è stato nel 1994, quando in legge di stabilità si introdusse il principio del farmaco con il prezzo di riferimento. Allora non ne parlava nessuno. Nel 2008 sono ripartito con i costi standard, ho fatto un percorso che dal punto di vista legislativo aveva una legge delega».

Poi cos’è successo?

«Ci sono stati dieci decreti legislativi sulla materia, poi Monti nel 2011 bloccò tutto. Però l’avvio della definizione dei costi standard c’è stato, la Sose ha realizzato un lavoro che vale per comuni e province. Io volevo che la standardizzazione fosse fatta anche sulla spesa dello Stato. Se fosse stata realizzata probabilmente avremmo potuto definire anche il resto e oggi non ci troveremmo di fronte a questo problema».

I fabbisogni standard infatti non sono mai stati approvati. La colpa di chi è?

«Di tutti quelli che non li hanno fatti. Io sono partito dai costi e sono stato un predicatore ascoltato in parte. Avrei voluto che qualcuno proseguisse su questa strada».

I suoi non le vengono dietro?

«Ma come? Certo che mi vengono dietro, ma i nostri sono al governo solo da un anno. E questo è un lavoro che richiede tanti anni. Bisognerebbe ripartire da un’attività seria, così come è stato fatto per comuni e province, partendo dalla standardizzazione della spesa dello Stato, in modo che quando si trasferiscono funzioni dallo Stato alle regioni si sappia di cosa si parla».

In questo momento la Lega ha la presidenza della Commissione bicamerale sul Federalismo. Si potrebbe usare per fare qualche passo in avanti.

«Ma i Lep sono in capo allo Stato e quindi hanno bisogno di un procedimento legislativo, non le può definire la Commissione. Non si fanno i costi standard in una Commissione. Da noi vige il principio che i costi standard di fatto sono spesa storica, è quello il male che continuiamo a portarci avanti. Bisogna partire dalla spesa storica, altrimenti il sistema-paese non funziona».

La spesa storica però ha il brutto vizio di dare sempre quanto è stato speso in passato. Ci sono comuni con spesa zero per servizi come asili nido o trasporti.

«Ci sono troppe cose che vengono affrontate in maniera frammentata, non radicale. Il mio concetto di costo standard per i comuni e le province portava a calcolare i fabbisogni standard».

La presidente della commissione Finanze alla Camera, Carla Ruocco, sta per far partire un’indagine conoscitiva per capire quanto ricevono ogni anno dallo Stato centrale le Regioni.

«Io ho buona memoria e ricordo che Craxi disse: “Quando non si vuole affrontare un problema si crea una commissione ad hoc”. Ecco: evitiamolo».

Quindi Lei è contrario all’indagine conoscitiva?

«Il Parlamento è libero di sapere tutto e di aver contezza di tutto. Mediamente un’indagine conoscitiva richiede un anno di lavoro. Tra un anno ci rivediamo per considerare se è il caso? No, grazie».

L’intenzione è quella di fare chiarezza sui numeri prima di parlare di autonomia.

«Ripenso sempre a Craxi. Ciascuno deve avere il coraggio. Vogliamo partire dalla spesa storica, in modo da stare tutti tranquilli. Benissimo, partiamo da quello, con l’obiettivo di realizzare i costi standard e i fabbisogni standard. A quel punto ognuno verificherà l’efficienza delle proprie capacità amministrative. Io voglio che ci sia, con le indagini conoscitive, un riconoscimento di chi non è capace di amministrare ed erogare servizi, spendendo comunque delle risorse pubbliche. Poche o tante che siano, spese malamente».

Poche o tante fa la differenza. I numeri elaborati dalla Svimez sulla base dei dati della Ragioneria dello Stato parlano di 61 miliardi di trasferimenti che ogni anno vengono sottratti al Mezzogiorno.

«Con tutto l’amore per la Svimez, da quando è stata istituita ha proposto solo problemi e non soluzioni. Quindi quello per me è un capitolo chiuso. Non ho letto lo studio e non posso commentarlo».

Alle soluzioni dovrebbe pensarci il Governo.

«Lasciamo alla Svimez, il suo lavoro, noi abbiamo altri lavori da fare. Sui 61 miliardi, non so neanche di cosa si stia parlando. Tornando all’indagine conoscitiva, in questo momento servirebbe solo a guadagnare tempo a vantaggio di chi non ha il coraggio di veder giudicate le proprie capacità gestionali. Responsabilizzazione e trasparenza, al Nord e al Sud, sono i principi che devono dettare queste linee. Sul passato, voglio capire come sono state amministrate le risorse a disposizione».

Il punto però è anche quanto un determinato territorio prende dallo Stato.

«Input e output sono due cose diverse, non si può considerare l’uno e non l’altro. Qualcuno farebbe meglio, invece di pensare sempre e solo alle risorse, a chiedersi perché alcune delle regioni che hanno delle risorse superiori rispetto alla media nazionale vedono i propri cittadini andare a farsi curare da un’altra parte».

Un esempio?

No, grazie.


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