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La sanità calabrese è un caso più unico che raro. In piano di rientro dal debito sanitario da ormai dieci anni, sconta doppiamente il problema della mancanza cronica di risorse e personale. Le ragioni sono molteplici: da una parte il disavanzo, certificato nell’ultimo tavolo di verifica ministeriale ad oltre 168 milioni di euro e dall’altra il sistematico blocco delle assunzioni che acuisce la cronica incapacità calabrese di garantire i Livelli essenziali di assistenza sul suo territorio. Un serpente che si morde la coda. 

Già questo basterebbe per rimarcare la distanza siderale tra la Calabria e le Regioni del Nord che negli anni, nonostante i tagli al fondo sanitario, hanno ricevuto una consistente fetta della torta a discapito delle Regioni del Sud. Una situazione di emergenza costante che proprio negli ultimi mesi è diventata ancora più pressante. Il personale medico e infermieristico è sempre di meno, le assunzioni sono state sbloccate per decreto legge ma difficilmente si potrà ottenere il 100% per l’anno in corso. Le previsioni infatti prevedono lo sblocco definitivo del turnover al 2021.

UN ABISSO

Basta vedere il rapporto tra i dipendenti presenti nel servizio sanitario regionale calabrese, compresi tecnici e amministrativi individuati nel rapporto dell’Aress Puglia. In Calabria ci sono 9,6 persone in media ogni mille abitanti, la prima della classe, la Valle d’Aosta, invece ne ha 17,5. Questa differenza enorme ha generato una disuguaglianza macroscopica. La Calabria in sette anni ha perso circa 3mila 800 figure professionali, con una diminuzione del 15% solo nell’ambito medico. I dati li riporta Nebo Pa nel rapporto sui dipendenti nel servizio sanitario nazionale. Non è la peggiore, visto il dato inquietante del Molise che ha perso quasi un terzo delle sue risorse nello stesso settore (-31%). A seguire Lazio (-20%), poi Campania (-17%) e infine Calabria. In tutta Italia il dato è del 6,6%. Sul personale infermieristico non va molto meglio, la Calabria perde il 15% delle professionalità a fronte di incrementi dell’11% a Bolzano. Anche le figure tecniche e professionali sono  diminuite.

L’ETÀ MEDIA

Tutto questo, chiaramente, si traduce in una minore capacità di intervento per numero di abitanti. I tagli sono ovunque, ma la differenza è netta. In Liguria, Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Veneto i tagli sono pari al 7,9% (1.900 unità, – 6,4% (3.500), – 4,8% (2.700), – 3,2% (600), – 2,7% (2.500), – 0,9% (480).

In questo contesto entra in gioco il problema dell’età media. La Calabria, su 200 aziende e Asp prese in considerazione, ha dei primati in negativo. L’Asp di Reggio Calabria è al primo posto. L’età media del personale è di 56,91 anni. Segue l’Asp di Vibo al quarto posto con 56,27. Sesta l’Asp di Cosenza (56,13), ventitreesimo posto invece per l’Asp di Catanzaro (54,20). Nell’azienda ospedaliera di Cosenza invece l’età media è di 52,80 anni, dato che vale la posizione 51 in classifica. Cinque posti più giù c’è Crotone con 52,61 anni di età media. Più in basso l’ospedale Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria (51,62) e l’azienda Mater Domini di Catanzaro (51,07). 

TAGLI RECORD

La Calabria è quella che in sette anni ha subito maggiormente i tagli al personale ed essendo una regione in piano di rientro con diversi anni di blocco delle assunzioni è quella che oggi sta scontando, assieme al Molise, i problemi più grandi per carenza di medici. Le cronache raccontano di reparti a rischio chiusura su tutti i territori per mancanza di medici specialisti. La soluzione “tampone” in attesa delle nuove assunzioni è in un certo senso straordinaria: i medici di aree vicine sono richiamati a gettone per poter sopperire alle carenze ed evitare che con l’estate le ferie possano mettere a rischio l’operatività di alcuni reparti.Dopo l’approvazione e conversione in legge del decreto Calabria un mese fa, che dispone lo sblocco delle assunzioni anche per le regioni in piano di rientro, si è ricominciato a parlare di personale. 

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