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Il premier Giuseppe Conte

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Il presidente Conte ha esordito nel suo mandato affermando di voler essere “l’avvocato del popolo”. Oggi sarebbe meglio scegliesse di essere “l’avvocato della nazione”. Magari il riferimento al popolo è più romantico, va più di moda, ma è molto evanescente.

E’ la nazione che oggi ha bisogno di essere difesa, non nelle retoriche bolse sui confini e sul sovranismo che non si sa cosa sia, ma nella sua essenza di mantenimento per il nostro paese di una presenza a livello internazionale senza la quale il famoso “popolo” non avrà un futuro degno. Quel che è assolutamente carente nella diatriba sulle autonomie differenziate, che è la vera punta dell’iceberg delle attuali difficoltà a disporre di una politica degna di questo nome, è proprio la cecità verso la questione della preservazione e dello sviluppo dell’Italia come nazione.

Chi si batte per concentrare a livello delle regioni (ricche) il potere di disporre della spesa pubblica come chi si impegna a mantenere tutto così com’è nell’illusione di difendere intatta la quota di risorse su cui ha attualmente potere ignora completamente che entrambi fanno parte di un “sistema”: nazionale in prima battuta, europeo non in seconda battuta, ma in parallelo. Il problema centrale non è promuovere l’investimento delle risorse che si ricavano dalla tassazione (a cui, vorremmo ricordarlo, si contribuisce in quanto cittadini della “nazione”) affidandole a chi è stato meglio in grado di concorrere al loro ammontare ed è più vicino al loro impiego sul territorio da cui si estraggono: e peggio per quelli che non sanno farlo o non ne sono in grado, perché pagheranno le colpe del loro destino.

Questa logica da pseudo capitalismo calvinista è miope. Non ne facciamo un discorso morale (non sono i tempi), ma un discorso di razionalità politica. Lo sviluppo è il vero problema dell’Italia, e dell’Italia come nazione. Lo si persegue solo in un sistema di solidarietà in cui si capisce che la forza d’urto non può essere che complessiva. Se rimaniamo nella logica delle isole di sviluppo, per quanto estese, in un mare la cui situazione interessa poco promuoviamo solo il desiderio da parte degli altri sistemi nazionali, che esistono eccome, di conquistarle per loro, facendone delle appendici dei loro sistemi.

Quando si ragiona in un’ottica di sistema nazionale non si fanno sconti a nessuno: non alle inefficienze del nostro Mezzogiorno, non alle incapacità di un governo centrale che non è affatto esente da colpe se non per la promozione almeno per la tolleranza verso un andazzo che ha portato al degrado una larga parte del paese, neppure agli appetiti del Nord, che, imperante una rinata “questione settentrionale”, non ha esitato a manipolare a suo vantaggio una certa distribuzione di risorse. 

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