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L’accesso e l’effettiva fruizione dei servizi sanitari sono legati a diversi fattori, tra loro concorrenti, tra cui il livello economico e sociale, il grado d’istruzione, la cittadinanza. La realizzazione effettiva del diritto alla salute passa quindi anche dal luogo in cui si vive, dal reddito disponibile, dalla possibilità di raggiungere in tempo utile il luogo di cura o in modo sufficientemente agevole un centro diagnostico.
Difficile sostenere di essere migliorati nella sanità nonostante l’aumento della povertà o l’insufficienza delle infrastrutture. In questo senso, le disparità territoriali e la necessità ormai improrogabile del loro superamento – messe in luce numerosissime volte da organismi internazionali come l’Onu e l’Oms, oltre che dai Rapporti annuali dell’Istat e da quelli sulla finanza pubblica della Corte dei conti – diventano centrali in qualunque azione di governo che abbia a cuore la crescita e il benessere di tutto il Paese.

AREE ISOLATE E LISTE D’ATTESA

Non è un caso che i mezzi di trasporto e le liste d’attesa mostrino per primi una delle grandi forbici tra Nord e Sud. Nel Mezzogiorno, tra gli ultra 65enni, la percentuale di chi ha effettuato in ritardo o non ha effettuato prestazioni sanitarie a causa di tempi troppo lunghi di attesa o collegamenti insufficienti è al 12,4%, mentre al Nord scende al 3,3,%.

Per quanto riguarda gli spostamenti, è bene ricordare che al Sud troviamo diverse regioni interessate dalle “Aree interne”, contesti locali che per collocazione geografica hanno più difficoltà rispetto alla media nell’accesso ai servizi essenziali come mobilità, istruzione e salute. In Italia ce ne sono 78, in Calabria 4. Qui, secondo il Dipartimento delle politiche di coesione, su 405 Comuni, 323 sono classificati come aree interne: parti di territorio dove occorre anche un’ora per raggiungere un ospedale o essere raggiunti da un’ambulanza e dove un medico di base riesce a essere presente non più di una volta a settimana.

Le liste d’attesa, poi, secondo l’Osservatorio nazionale di Cittadinanzattiva, basato sulle segnalazioni dei cittadini al Tribunale per i diritti del malato, hanno trasformato l’intramoenia in una scelta obbligata, inevitabilmente più costosa, accessibile però solo nei casi in cui il reddito familiare lo consenta. Anche qui, dunque, con chiare disuguaglianze tra chi può permettersi una spesa aggiuntiva e chi invece deve rinunciare.

LA SPESA PRO CAPITE

E se coloro che rinunciano, in generale, sono sempre di più in termini assoluti, la variabilità regionale della spesa pro capite annua per prestazioni in intramoenia è ancora una volta rilevante: 30 euro/anno in Emilia Romagna contro 4,9 in Calabria.

Impressionanti anche i dati di chi rinuncia a curarsi per problemi economici, ancora più inaccettabili se si pensa che l’Italia, secondo l’Istat, è il Paese europeo in cui vivono più poveri, con oltre l’8% della popolazione che non può contare in modo continuativo su risorse essenziali come casa, cibo, acqua e vestiario.

In generale, la percentuale più elevata di chi non può permettersi medici e medicine, riguarda le cure dentistiche, ma l’insufficienza del reddito nel Sud pesa il doppio rispetto al Nord. Le Isole registrano il 17,3% degli over 15 e il 19,9% degli over 65 che rinunciano, il Sud, rispettivamente, oltre il 15% e il 17%, mentre al Nord i numeri si dimezzano.

STRUTTURE DI ASSISTENZA

Un capitolo altrettanto importante riguarda le strutture di assistenza diverse dagli ospedali, come per esempio le Strutture semi-residenziali, i cosiddetti “centri diurni”, dove si fa riabilitazione, recupero e assistenza anche a persone con demenza o non autosufficienti, ma senza un’alta necessità di tutela sanitaria. Ebbene, considerando – secondo l’Osservatorio Demenze dell’Istituto superiore di sanità – che la «prevalenza della demenza nei Paesi industrializzati è circa dell’8% tra gli ultra 65enni e sale oltre il 20% dopo gli 80 anni» e che «i casi di demenza potrebbero triplicarsi nei prossimi 30 anni», regioni come Basilicata e Calabria non hanno un solo centro diurno in grado di accogliere persone in queste condizioni. In Lombardia ce ne sono 276, in Campania 5. Per l’Alzheimer, i centri diurni vanno da 1 in Molise ai 109 del Veneto.

MALATTIE CRONICHE PATOLOGIE RARE E HCV

Il quadro non migliora per quanto riguarda le malattie croniche e i “Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali” (Pdta), uno strumento di continuità assistenziale personalizzata che prevede una maggior integrazione, anche informatizzata, tra ospedale e territorio. In Piemonte ne troviamo 21, in Campania uno solo.

Per le patologie rare, la Lombardia può contare su 107 Pdta, la Sicilia su uno. Per quasi tutti gli intervistati da Cittadinanzattiva – sentiti attraverso 50 organizzazioni di persone affette da patologia cronica e rara e loro familiari – la priorità è l’integrazione fra assistenza primaria e specialistica, presente invece solo in alcune Regioni del Centro-Nord.

Un’altra osservazione sul Mezzogiorno viene dall’Aifa: a fronte della prevalenza dell’infezione da Hcv (epatite C) nel Sud e nelle isole, con una maggior concentrazione nella popolazione ultrasessantacinquenne – in Campania, in Puglia e in Calabria, si supera il 20% – il numero dei centri abilitati alla prescrizione, in Italia, è rimasto invariato a 237. E in alcuni casi, come ad esempio in Campania, il numero dei centri si è ridotto passando da 25 a 20.

Per quanto riguarda, infine, l’assistenza farmaceutica – soprattutto per l’accesso ai farmaci innovativi – i cittadini intervistati lamentano, per oltre il 34%, limitazioni previste nelle diverse delibere regionali ed eterogeneità regionale nei tempi di inserimento nei diversi prontuari farmaceutici regionali.

Situazioni che, oltre ad impedire di fatto l’accesso alle terapie, riportano in primo piano la disparità di trattamento a seconda del luogo di residenza e delle diverse disposizioni regionali, aziendali e locali.


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