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Il premier Giuseppe Conte in fabbrica fra gli operai della ex Ilva di Taranto

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Proprio mentre governo e ArcelorMittal tentano di individuare un percorso condivisibile per arrivare a un nuovo accordo sul turnaround dell’ex Ilva, tutti gli stabilimenti dell’ultimo colosso siderurgico italiano sono fermi per lo sciopero indetto dai sindacati. E una tegola arriva in serata: il giudice, infatti, ha rigettato la richiesta di proroga per l’attività dell’Afo2 avanzata dai commissari al tribunale di Taranto. Questo significa il possibile inizio delle operazioni di fermata degli impianti a partire dal 13 dicembre. Anche se c’è un ulteriore spiraglio: fare ricorso al Tribunale del riesame.

La decisione del Tribunale di Taranto sull’uso dell’Altoforno 2 arriva dopo una serie di sequestri e dissequestri nell’inchiesta sulla morte dell’operaio Alessandro Morricella. I commissari chiedevano un anno di tempo per ottemperare alle prescrizioni di automazione del campo di colata. «I lavoratori dell’Ilva, dopo 32 ore di sciopero e la grande manifestazione di Roma, non sono nemmeno riusciti a tornare a casa che è arrivata la doccia gelata della decisione del giudice – commenta Rocco Palombella, segretario generale Uilm – Questa situazione è l’ultimo tassello di una trattativa sempre più in salita. Con la fermata dell’altoforno 2 si prefigurano scenari preoccupanti che potrebbero portare alla chiusura dello stabilimento di Taranto e alla fermata degli altri siti italiani del gruppo. Questa decisione, inoltre, potrà inasprire il contenzioso tra Arcelor Mittal e lo Stato italiano».

L’eventuale chiusura dell’ex Ilva di Taranto costerebbe circa 20 miliardi di euro nei prossimi 15 anni: è il calcolo fatto dalla Regione Puglia che sta studiando ogni possibile scenario in attesa che ci sia una schiarita definitiva. Secondo le stime del governo Emiliano, per bonificare l’area dopo una eventuale dismissione dell’impianto siderurgico, “ricondizionare” il sito produttivo, cioè riconvertirlo, e risolvere la questione occupazionale (tra dipendenti diretti e quelli dell’indotto parliamo di oltre 15mila lavoratori) serviranno almeno 20 miliardi di euro. Una cifra monstre, anche per questo il governo Conte e ha lavoro per tenere in vita l’ex Ilva, con o senza ArcelorMittal. Il piano prevede l’intervento dello Stato, nell’idea dell’Esecutivo c’è una partecipazione mista: metà privati (Intesa San Paolo, ad esempio), metà pubblici, come Invitalia.

Un’operazione molto complessa ma allo stesso tempo ambiziosa che dovrebbe permettere, secondo le analisi svolte dai tecnici, di portare la produzione di acciaio a otto milioni di tonnellate all’anno, ridurre le fonti d’inquinamento e portare gli esuberi a circa 1.800 contro i quasi cinquemila annunciati dai franco-indiani. Gli incontri con Mittal proseguono, ma per non farsi trovare impreparati il governo prepara la via di uscita qualora la trattativa con la multinazionale dovesse fallire definitivamente. L’assunto dal quale parte l’Esecutivo Conte è che la sola presenza di Mittal non è, comunque, garanzia e non è sufficiente per disegnare un futuro sereno all’ex Ilva e alla città di Taranto. Quindi ecco l’ipotesi dell’ingresso di nuovi attori, da Intesa San Paolo a Invitalia sino a Cassa depositi e prestiti.

Per quanto riguarda l’iniezione di liquidità iniziale, è infatti previsto l’ingresso di Cdp e della controllata Snam, attiva nello stoccaggio e nella gestione del gas. La difficoltà maggiore è studiare una strategia per non incorrere in una procedura d’infrazione della Commissione europea per aiuti di Stato. Si studia anche la possibilità di un inserimento del gruppo Arvedi che, nel 2018, ha partecipato alla gara per la gestione degli stabilimenti ex Ilva poi affidati ad Arcelor. Ieri, sia a Roma che a Taranto, è andata in scena la protesta dei lavoratori: la mobilitazione organizzata da Cgil, Cisl, Uil è arrivata sino in piazza Santi Apostoli a Roma. Lo sciopero, secondo i sindacati, ha registrato un’alta adesione, anche la Wanbao Acc di Belluno ieri si è fermata con uno sciopero al 100%. Tutti gli stabilimenti ArcelorMittal sono rimasti fermi: adesione a Taranto 90%, a Genova e Novi Ligure 80%, a Racconigi 100%, e al 100% anche a Padova e Marghera.

Domani è previsto un nuovo incontro tra governo e ArcelorMittal, i sindacati chiedono che vengano garantiti i livelli occupazionali. Anche a Taranto è andata in scena la protesta dei lavoratori: «Dal 26 luglio 2012 a oggi ci sono stati 9 colleghi che non sono potuti tornare a casa. È da qui che dobbiamo partire quando si parla di Ilva», ha parlato così, al sit in davanti alla direzione ArcelorMittal, Mirko Maiorino, operaio in Cigs dell’Ilva in Amministrazione Straordinaria. «Non si può parlare di lavoro – ha aggiunto – senza considerare che ci sono uomini, padri di famiglia, che qui dentro sono entrati con le loro gambe e sono usciti dentro una bara di legno. I nostri colleghi sono morti su impianti posti sotto sequestro dalla magistratura che hanno avuto facoltà d’uso grazie a 13 decreti fatti dal governo e il governo oggi si siede al tavolo e tratta con Mittal. In questo stabilimento ci sono 3.700 tonnellate di amianto, basterebbe questo per chiuderlo. È semplicemente assurdo dare ancora credito a chi ha svenduto non solo la salute di una intera città, di una intera fabbrica, ma anche il lavoro e i posti di lavoro».

«Certamente se ci fosse stato lo Stato, non ci sarebbero stati i balletti a cui assistiamo. Dobbiamo mantenere l’acciaio in Italia. La smettessero di litigare nella maggioranza e con l’opposizione. Non possiamo permetterci un altro Natale così», ha rincarato la dose il segretario generale della Uil, Carmelo Barbagallo, parlando dalla piazza della manifestazione nazionale unitaria “per il lavoro” soffermandosi in particolare sulla vertenza ArcelorMittal. «Questo Natale sarà brutto per molte famiglie, non possiamo permetterlo. Bisogna dare speranze ai lavoratori, ai giovani e agli anziani», ha aggiunto Barbagallo.


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