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La sanità in Italia aveva due facce. Quella dell’eccellenza la si trovava ovunque, quella dell’efficienza soprattutto al Nord. Ma i numeri, certificati dalla relazione della Corte dei Conti sul federalismo fiscale, dicono il contrario. Nell’ultimo decennio il deficit nella sanità nelle Regioni meridionali si è ridotto o addirittura annullato. Nelle ultime settimane, non a caso, dopo 19 anni di commissariamento che ha portato all’aumento delle tasse fino all’aliquota massima, in Campania si è tornati alla gestione ordinaria del comparto. Una boccata di ossigeno che dovrebbe finalmente alleggerire le tasche dei cittadini.

LA RELAZIONE

Tra il 2006 e il 2017 il deficit si è ridotto nelle Regioni sottoposte a monitoraggio, passando da -1 miliardo ad appena -82 milioni. Stesso andamento per le Regioni sottoposte a Piano di rientro, quindi a un controllo ancora maggiore, dove il deficit è passato da -4 miliardi a -223 milioni. Risultato opposto nelle Regioni a statuto speciale e nelle due Province autonome del Nord, dove la Corte dei conti rileva una diversa tendenza: da -600 milioni nel 2006 a circa a -1,2 miliardi nel 2017. In sostanza, il disavanzo è raddoppiato. Secondo la Corte dei conti “laddove lo Stato non ha strumenti d’intervento diretto sulla dinamica di spesa, le politiche di contenimento sono state meno efficaci. Le Regioni a statuto ordinario, infatti, sono soggette a monitoraggio annuale ovvero, qualora in disavanzo, a più verifiche tecniche in corso d’esercizio relativamente al piano di rientro sottoscritto”. Per i magistrati, ciò determina anche un rilevante profilo di criticità nella “determinazione del fabbisogno sanitario nazionale e del relativo riparto tra le Regioni». Per questo evidenziano che «sarebbe certamente auspicabile che almeno il fabbisogno per l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (Lea) in condizioni di efficienza e appropriatezza, presentasse regole procedurali univoche sul territorio nazionale e tempestivamente recepite da tutti gli enti territoriali, così da permettere una più agevole valutazione dei costi della sanità nei diversi contesti territoriali”. Ecco, appunto, le famose griglie dei Lea dipendono da criteri non uguali per tutto il territorio nazionale.

LA DISEGUAGLIANZA

È la stessa Corte dei Conti a sottolineare che “non vengono erogate le medesime prestazioni sanitarie né agli stessi costi: l’accesso ai servizi sanitari, dunque, non avviene attualmente in condizioni di eguaglianza tra tutti i cittadini”. E ciò è tanto più grave se si considera la recente pronuncia della Corte costituzionale secondo la quale è necessaria una delimitazione finanziaria dei Lea definiti “spese incomprimibili e necessarie”, rispetto alle altre spese sanitarie: la reale copertura finanziaria dei servizi, data la natura delle situazioni da tutelare, deve riguardare non solo la quantità ma anche la qualità e la tempistica delle prestazioni costituzionalmente necessarie”. IL nodo dei nodi è la ripartizione del fondo sanitario nazionale: dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno avuto dallo Stato 944 milioni in più rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.

IL GAP

Il gap tra Nord e Sud è dovuto alla differenza nei trasferimenti. Meno risorse, meno servizi da offrire agli utenti al netto ovviamente degli sprechi che magari sono stati prodotti nelle singole aziende sanitarie oppure ospedaliere.

Ecco come è lievitato, anche dal punto di vista della qualità dei servizi offerti, il divario tra le due aree del Paese: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati solo 685 milioni in più. “Nel 2017 – scrivono sempre i magistrati – con qualche lieve variazione rispetto agli anni dal 2012 al 2016, il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è assorbito dalle Regioni del Nord, il 20% dalle Regioni del Centro, il 23% da quelle del Sud, il 15% dalle Autonomie speciali”. Diseguaglianze ancora più palesi se analizziamo la spesa pro-capite: nel 2017 lo Stato ha mediamente investito 1.888 euro per ogni cittadino, tutte le Regioni meridionali, tranne il Molise (2.101 euro pro capite), spendono meno della media nazionale. In particolare la Campania (1.729 euro), la Calabria (1.743), la Sicilia (1.784) e la Puglia (1.798). La spesa pro capite più alta si registra invece nelle Province autonome di Bolzano (2.363 euro) e Trento (2.206), in Liguria (2.062), Val d’Aosta (2.028), Emilia-Romagna (2.024), Lombardia (1.935), Veneto (1.896).

LE SPESE

Nel dettaglio delle spese regionali, si possono fare alcuni esempi. In Campania il 42 per cento del bilancio di previsione del 2019 viene speso per il titolo “Tutela della salute”. Sotto questa voce c’è il settore sanità con tutto ciò che ne comporta in termini di mantenimento delle strutture, gestione delle Asl e degli ospedali. Pari a poco più di 11 miliardi di euro. In Veneto la spesa per la sanità ammonta a 10 miliardi di euro su 21 miliardi dell’intero bilancio, quindi la metà. Nello specifico, nel 2019: 100 milioni di euro sono destinati all’acquisto di farmaci innovativi e medicinali oncologici innovativi; proseguono gli interventi per la realizzazione del Polo della salute di Padova (50 milioni di euro), per il superamento dei vincoli dettati da edifici e tecnologie vetusti che comportano la frammentazione e la dispersione di servizi. In Piemonte si spendono 9 miliardi su 18 totali. il 2017 è caratterizzato dall’uscita dal piano di rientro dal debito sanitario, obiettivo prioritario per la Giunta regionale fin dal suo insediamento.


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