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C’è un piano B della Lega per mettere in atto un controribaltone. Si fonda sull’eventualità che la barca che ora tiene a galla il Conte 2 non regga lo tsunami scatenato da una possibile sconfitta alle prossime elezioni regionali in Calabria e in Emilia-Romagna. Ipotesi tutt’altro che remota. L’implosione del Movimento 5 stelle darebbe così il via libera alla formazione di un nuovo gruppo parlamentare interessato a tenere in vita la legislatura e pronto perciò a sostenere un esecutivo Salvini. Un governo purchessia, insomma.

LE CONGETTURE

È uno scenario che a molti può sembrare inverosimile, fantascienza allo stato puro, ma al quale invece si è lavorato sottotraccia. Il manovratore occulto avrebbe un nome e un cognome: Roberto Calderoli, esperto guastatore, nonché padre del famoso Porcellum.

La fioritura delle congetture alimentata dalle firme presentate, ritirate e di nuovo presentate da 71 senatori per il referendum sul taglio dei parlamentari, dà la misura del clima che si respira a Montecitorio.
Cosa vogliono i promotori del referendum, tra i quali i 6 del Carroccio reclutati in extremis? Andare al voto o evitare – come qualcuno pensa – le elezioni anticipate? Non è chiaro, non lo è affatto. L’unica certezza è che ora, depositate le firme in Cassazione, la Lega, che pure aveva votato a favore della sforbiciata, cioè del passaggio da 945 membri del Parlamento a 600, punta a togliere la parte proporzionale del Rosatellum, decisione che spetta alla Consulta, attesa per il prossimo 15 gennaio.

Sarà un caso ma la prima condizione che Calderoli e i suoi hanno posto in tempi non sospetti ai due senatori transfughi Grillini Grasso e Urraro fu la firma per il referendum. E che le prime parole pronunciate ieri da Andrea Cangini, senatore forzista, “diversamente carfagnano”, dopo l’ennesimo ripensamento siano state: «Con il referendum la legislatura non è a rischio». L’esatto contrario di quello che pensavano tutti. Il terzo indizio viene dalle “risse” scatenate proprio in queste ore dalla dissidenza grillina. Quasi telecomandate.

M5S IN DISSOLVENZA

Tutto parte dal presupposto che l’attuale maggioranza sia ormai in stato di catalessi. Incapace di reagire a qualsiasi sollecitazione. E che abbia dunque il destino segnato. Una vita breve, seguita da un altrettanto rapida agonia.
In attesa di leggere i titoli di coda, c’è chi dietro le quinte immagina la dissoluzione dei 5 stelle; la rivolta contro la leadership di Luigi Di Maio; le voci circa il suo possibile successore Vito Crimi; i malumori generati dall’espulsione dell’ex leghista Pierluigi Paragone, che ha continuato a fare scouting anche in questi giorni; l’appoggio esterno di Alessandro Di Battista, che non ha mai approvato l’alleanza con il Pd, spiegano perché il Piano B del Carroccio è molto più concreto di quanto si pensi.

Alle Camera i Grillini erano 222 e ora sono rimasti in 214, al Senato erano 110 e sono scesi a 101. Dal marzo 2018 hanno perso 17 parlamentari. Ancora pochi in rapporto a quello che potrebbe accadere se l’alternativa fosse il rompete le righe e tornatevene a casa. È appena il caso di ricordare che nella scorsa legislatura i cambi di casacca furono 253, di cui 140 senatori.

Giorgio Mulè, deputato di punta di Forza Italia, è appena uscito da «due ore di Arcore». Un summit con Berlusconi in cui sono volate parole durissime sulla Carfagna ,«finita in confusione». Mulé, ex retroscenista, crede poco ai complotti ma non ritiene l’ipotesi del ribaltone inverosimile. Anzi. «Con un sistema elettorale tutto maggioritario il centrodestra farebbe cappotto».

I RECLUTAMENTI

E il reclutamento in massa dei fuorusciti 5Stelle? «Ai parlamentari già fuori se ne aggiungerebbero, a quanto mi risulta, almeno 20/30 ma non mi stupirei se fossero anche di più. In questo caso il presidente Mattarella dovrebbe prenderne atto, e anche noi, di fronte a condizioni interne ed internazionali particolarmente gravi e delicate, faremmo la nostra parte».

Responsabili di ieri e di oggi. Parlamentari pronti a tutto, pur di non fare le valigie. Michele Giarrusso, senatore pentastellato di lungo corso, finito sulla lavagna dei cattivi, ha ritirato la firma sul referendum confermativo, «perché – ha scritto su Facebook – la mia posizione è stata strumentalizzata da alcuni, travisata da altri».

E Calderoli? Il vice presidente del Senato per ora si limita a criticare la nuova proposta di legge elettorale presentata dalla maggioranza, «la montagna ha partorito non un topolino ma un peto, per cui io questa proposta elettorale la chiamerei il “petellum”». E i sei dei suoi che hanno firmato per il referendum? No comment.

Un anomalo movimento di truppe viene segnalato intorno al gruppo Misto di Palazzo Madama. «Non mi stupirei se altri senatori 5 Stelle passassero alla Lega, tra molti di loro ci sono affinità – sostiene Gregorio de Falco, che ha lasciato da tempo il Movimento – Credo che in cuor suo anche Casaleggio senior, il fondatore, sia stato sempre un leghista».


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