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Sanità, trasporti, funzionamento della macchina burocratica: sono i principali, ma non unici, “carrozzoni” che spaccano l’Italia, favorendo il Nord a discapito del Sud. Basta dare un’occhiata al flusso di danaro pubblico che parte da Roma per accorgersi – dati ufficiali alla mano vergati dalla Corte dei conti – che le maggiori risorse sono state destinate, negli ultimi 20 anni, alle Regioni settentrionali.

LA SANITÀ NEGATA

Ecco qualche prova: dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%. Altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta, dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Tradotto in euro, significa che, considerando solo gli anni dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato 944 milioni in più rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati solo 685 milioni in più.

Nel 2017 – scrive la Corte dei conti – con lievi variazioni rispetto agli anni dal 2012 al 2016, il 42% del totale delle risorse finanziarie per la sanità è assorbito dalle Regioni del Nord, il 20% dalle Regioni del Centro, il 23% da quelle del Sud, il 15% dalle Autonomie speciali.

Disuguaglianze ancora più palesi se si analizza la spesa pro-capite: nel 2017 lo Stato ha investito mediamente 1.888 euro per ogni suo cittadino, ma tutte le Regioni meridionali, tranne il Molise (2.101 euro pro capite), spendono meno della media nazionale, in particolare Campania (1.729 euro), Calabria (1.743), Sicilia (1.784) e Puglia (1.798). La spesa pro capite più alta si registra nelle Province autonome di Bolzano (2.363 euro) e Trento (2.206), in Liguria (2.062), Val d’Aosta (2.028), Emilia-Romagna (2.024), Lombardia (1.935), Veneto (1.896).

I TRASFERIMENTI

Altri indicatori confermano che, ogni anno, al Nord arrivano maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Lo stesso Veneto nel 2018, rispetto al 2017, ha ricevuto da Roma lo 0,87% in più. La Regione di Zaia, ad esempio, nel 2012 ha incassato 8 miliardi e 536 milioni, nel 2018 è passata a 8 miliardi e 913 milioni, quasi 400 milioni in più, La Calabria, invece, nel 2012 ha incassato 3 miliardi e 454 milioni, nel 2018 è salita a 3 miliardi e 522 milioni, appena 68 milioni in più. Potremmo proseguire: il piccolo Molise è passato dai 570 milioni del 2012 ai 571 milioni del 2018; la Basilicata da 1,023 miliardi a 1,036 miliardi, 13 milioni in più. Un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse permetterebbe anche alla Puglia di ricevere, mediamente, 250 milioni in più all’anno: è la cifra che l’Emilia Romagna, a parità di popolazione, ha incassato in più dal 2005 a oggi. Negli ultimi 13 anni ha ricevuto 3 miliardi in più rispetto alla Puglia, a parità di popolazione, come evidenziato nel rapporto “La finanza territoriale 2018”. Solamente nel 2012, all’Emilia sono andati 7,8 miliardi, alla Puglia 6,97 miliardi, circa 900 milioni in meno. Differenza che è rimasta costante nel corso degli anni, tanto che nel 2018 l’Emilia ha incassato 8,1 miliardi, mentre la Puglia 7,2 miliardi.

CONTI IN ROSSO

Tutto questo mentre a peggiorare i conti, aumentando il “rosso” nei bilanci del comparto sanitario, sono proprio le Regioni del Nord: è quanto emerge dal “Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica” approvato lo scorso maggio dalla Corte dei conti. Il peggioramento dei conti – evidenziano i giudici – va ricondotto soprattutto alle Regioni a statuto ordinario del Nord, che passano da un avanzo di 38,1 milioni del 2017 a un disavanzo di circa 89 milioni. I numeri sono sotto gli occhi di tutti: la Toscana, il cui sistema sanitario viene elogiato e preso come esempio virtuoso, nel 2018 ha prodotto un passivo di 32 milioni circa; il Piemonte ha avuto un risultato negativo di 51,7 milioni; la Liguria ha coperto il disavanzo di 56,1 milioni con risorse iscritte nel bilancio 2019 per 60 milioni.

Al Nord, per ogni mille abitanti ci sono 12,1 dipendenti nel comparto sanità: medici e infermieri, ma anche tecnici di laboratorio, amministrativi, operatori socio sanitari. Al Sud la media si abbassa drasticamente, sino a 9,2 dipendenti ogni mille residenti. Se la Puglia avesse avuto le stesse risorse dell’Emilia Romagna e avesse, quindi, potuto mantenere lo stesso rapporto dipendenti/residenti, oggi avrebbe 16.662 medici, infermieri, amministrativi in più. Una bella differenza. O ancora: sapete qual è il divario negli organici tra Puglia e Toscana? Oltre 19.500 dipendenti in più in favore di quest’ultima. E tra la Puglia e il Veneto? Nella regione di Zaia sono impiegati, solamente nel settore sanitario, 13.441 lavoratori in più. Se invece prendiamo in considerazione il Piemonte, la differenza è di oltre 15mila dipendenti. Esaminando i dati delle singole regioni emerge ancor più chiaramente il divario: la Val d’Aosta può contare su un rapporto di 17,5 dipendenti ogni mille abitanti, il Friuli di 16,2 lavoratori ogni mille abitanti, seguono Liguria (15,2), Toscana (13,7), Sardegna (13,5), Emilia Romagna (13), Piemonte (12,6), Umbria (12,6), Marche (12,5). Per trovare la prima regione del Sud bisogna scendere sino al 12° posto: lì c’è la Basilicata che, con un rapporto di 12,4 dipendenti ogni mille residenti, è l’unica del Sud sopra la media nazionale (10,8), davanti al Veneto (12,2). Le altre regioni del Mezzogiorno devono fare le nozze con i fichi secchi: il Molise ha un rapporto di 9,9 lavoratori ogni mille abitanti, seguono Calabria (9,6), Puglia (8,9), Sicilia (8,8), Lazio (7,9) e Campania, con soli 7,8 dipendenti ogni mille abitanti.

TRASPORTI A DUE VELOCITÀ

Dal diritto alla salute a quello alla mobilità, la musica non cambia: la Campania (5,8 milioni di residenti secondo l’Istat) può spendere non oltre 700 milioni di euro per migliorare una complicata mobilità interna perché di più non riceve dai trasferimenti statali nella ripartizione del fondo nazionale; il Veneto (4,9 milioni di abitanti) stanzia 860 milioni e il Piemonte (4,3 milioni) 750 milioni. La Puglia (4,1 milioni di residenti), per garantire treni e bus confortevoli e puntuali, per il 2019 ha messo in bilancio 499 milioni, l’Emilia Romagna (popolazione quasi identica, 4,4 milioni) ha potuto impegnare una somma ben più corposa, 646 milioni.

INFRASTRUTTURE

Nelle regioni del Sud ogni impresa può contare in media su meno di 20 km di infrastrutture (strade, autostrade, linee ferroviarie), circa la metà di quelli a disposizione nel Nord-Ovest. La Puglia, ad esempio, secondo lo studio elaborato da Nomisma, è fanalino di coda con appena 7,9 chilometri di infrastrutture per azienda. A fronte di una media nazionale di 23 km di autostrade ogni 1.000 kmq, nel Sud si scende a 20 km/1.000 kmq, con la Basilicata ferma a 3 km/1.000 kmq e il Molise bloccato a 8 km/1.000 kmq. Anche la dotazione di linee ferroviarie risulta inferiore al Sud, con 36 km/1.000 kmq nelle isole, mentre a livello nazionale la media è di 55 km/1.000 kmq.

COSTO DELLA BUROCRAZIA

Ed è sempre il Nord a spendere di più per il funzionamento della macchina burocratica: alla voce “Servizi istituzionali, generali e di gestione” nel bilancio della Lombardia è iscritta la cifra monstre di 742 milioni, contro i 256 della Puglia e i 207 della Campania. Ma anche il Veneto, che ha una popolazione pari a quella della Puglia, non scherza: 482 milioni nel 2019. Fa meglio il Piemonte, con la cifra record di 911 milioni. Per le “risorse umane” la Lombardia investe 71 milioni, la Campania appena 23.

DIPENDENTI

E quanto spendono le Regioni del Nord in costo del personale? Tanto, anzi tantissimo. A scattare una fotografia impietosa è la Corte dei conti che, nella relazione sulle Autonomie pubblicata il 22 luglio 2019 e relativa al triennio 2015-2017, non fa sconti a nessuno. Nel 2017 le Regioni a statuto ordinario del Nord hanno registrato un costo per i dipendenti pari a 533 milioni di euro, con un incremento dell’8,99% (l’Emilia Romagna fa segnare un record, +20,09%, seguita da Piemonte, +11,02%). Il Centro spende meno (399 milioni) ma i costi sono in aumento: +11,6% nel 2017. Il Sud spende meno del Nord (520 milioni) ma, soprattutto, fa segnare una contrazione dei costi: -2,41%. Le Regioni del Nord superano il Mezzogiorno anche per quanto riguarda il numero di personale: 14.418 contro 13.861. Non solo: mentre al Nord dal 2015 al 2017 cresce il numero di dipendenti (+14,6%), al Sud diminuisce (- 2,56%).


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