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La Calabria è una regione dove Cosenza, città capoluogo di una delle province più grandi d’Italia, non ha un’ambulanza medicalizzata pubblica per le emergenze. Si è rotta sabato scorso, dopo diverse tribolazioni (l’ultima riparazione è stata a dicembre) e attualmente si trova in officina. Tempo stimato per la riconsegna: indefinito.

Comunque si tratta di un mezzo non più adatto alle sue funzioni. Ha 500mila chilometri sul groppone, ben oltre il limite di legge dei 300mila. Un’ambulanza che solo lo scorso anno ha gestito 3300 casi, soprattutto codici rossi, e che ora è sostituita dalle organizzazioni private. Medici e infermieri sono transitati sull’ambulanza di un’associazione, una delle tante in servizio per aiutare il 118 pubblico soprattutto con codici bianchi e piccole emergenze. E i costi non sono bassi.

TEMPI IRRAGIONEVOLI

L’altro caso è proprio di due notti fa: un’ambulanza dell’Azienda sanitaria provinciale cosentina, di stanza nel borgo montano nel cuore della Sila di San Giovanni in Fiore, parte verso Padova per il trasferimento di un paziente da sottoporre a un trapianto. Arrivata a Mercato San Severino si ferma per la rottura della frizione. A sostituirla un’altra ambulanza privata che ha effettuato il cambio. Il paziente, in ogni caso, è stato trasferito con “successo”.

Cose all’ordine del giorno in una Calabria che sconta oltre 10 anni di commissariamento, un debito non coperto dalle entrate fiscali che quest’anno potrebbe scendere sotto i 100 milioni, i livelli essenziali di assistenza non garantiti soprattutto per quanto riguarda gli screening oncologici, liste d’attesa fuorilegge con tempi irragionevoli, ospedali con reparti destinati allo svuotamento per mancanza di personale, una migrazione sanitaria verso le strutture del Nord eccessiva che si aggira sui 280 milioni di euro (anche se negli anni, proprio per mancanza di controlli, molte strutture sanitarie del Centro-nord ci hanno “marciato”, segnalando in cura pazienti in realtà non residenti in Calabria) e una gestione organizzativa dopo il decreto Calabria approvato l’estate scorsa che non ha risolto quasi nulla. Ci sono due punti nascita chiusi, quello di Soverato nel Catanzarese e quello di Cetraro, sulla costa tirrenica. Entrambi non superano la soglia necessaria, per restare aperti, dei 500 parti annui. Ma a Cetraro si è consumata anche una tragedia lo scorso anno: la morte di una madre durante un parto cesareo.

STRUTTURE CARENTI

Da qui in poi sono uscite fuori le carenze strutturali, i problemi tecnici di un’area dove non si fanno interventi da anni. Ancora oggi si è in attesa degli ammodernamenti. A Castrovillari, nord della provincia di Cosenza, piove nel reparto di Oncologia. Sul soffitto ci sono letteralmente buchi e macchie di umidità. A Vibo Valentia i reparti sono così ingolfati che i pazienti restano sulle barelle nei corridoi, nella Locride si combatte con macchinari rotti e un piano di ammodernamento tecnologico approvato dal commissario il mese scorso, reparti a mezza funzione per colpa della carenza di medici.

L’ospedale di Lamezia è depotenziato per il poco personale, in quello di Cosenza, invece, dopo anni di esternalizzazioni selvagge si stanno licenziando gli operatori del centro unico di prenotazione in servizio per una cooperativa. Poi il colpo basso, sempre firmato dal governo. L’invio di medici e specialisti dal Veneto per insegnare le buone pratiche acquisite al Nord e migliorare le prestazioni dei chirurghi calabresi. Gli stessi che a differenza dei loro colleghi veneti combattono con carenze di tutti i tipi, senza contare il numero nettamente inferiore di dottori, peggiorato con la Quota 100 leghista e il blocco del turnover imposto dal piano di rientro.

LE ASSUNZIONI

In Calabria le eccellenze ci sono, ma lavorano in maniera totalmente diversa dal resto d’Italia. Nei reparti i medici vengono assunti “a chiamata” per garantire il riposo degli effettivi. E delle assunzioni neanche l’ombra. L’ultima volta che il commissario ad acta per il piano di rientro del debito sanitario, l’ex generale dei carabinieri Saverio Cotticelli nominato dall’allora ministro 5 stelle Giulia Grillo, si è ritrovato davanti i tecnici del Mef e del ministero della Salute è arrivata l’ennesima doccia fredda. I tecnici sono ancora in attesa di un piano operativo, in realtà scaduto a dicembre scorso, che dovrebbe definire i fabbisogni di ogni azienda ospedaliera e provinciale. Un documento necessario per capire di quanto personale realmente avrebbe bisogno la Calabria. E così anche le oltre 400 assunzioni deliberate a ottobre, frutto di una ricognizione dei decreti del vecchio commissario, restano congelate perché senza un quadro di riferimento chiaro. Poco importa, il commissario aveva già deciso di fermare tutto in attesa del voto regionale. Il rischio è quello di sempre: voti in cambio di posti di lavoro.

I COMMISSARI

Tutto questo mentre solo da una settimana si sono insediati i commissari straordinari alla guida delle aziende dopo lo stop ai precedenti dirigenti nato per effetto del decreto Calabria. Questo, però, non vale per le Asp di Reggio Calabria e Catanzaro, oggi commissariate per infiltrazioni mafiose. Il problema sono gli appalti, spesso affidati a ditte in odor di mafia con continui regimi di proroga e omissioni sulle banche dati nazionali antimafia. Continui tagli alla spesa e oltre 10 anni di blocco delle assunzioni per via del debito hanno causato effetti notevoli.

La Calabria dipende tantissimo dalle strutture accreditate e dai servizi privati. In tutto questo c’è da fare i conti con le tasse: aliquote aumentate per cercare di ripianare un debito altrimenti ingestibile. In una Calabria senza sanità, completamente cancellata anche dal dibattito elettorale ma bacino di voti sotterraneo importantissimo, si paga un conto salato.

IL FUTURO

Il futuro cosa riserva? Il ministro Speranza, nel Patto per la Salute, ha specificato la necessità di superare questo schema obsoleto del commissariamento tout court, preferendo un affiancamento nei settori più in difficoltà. Ci sarebbero anche più soldi per le assunzioni e un aumento dei tetti massimi di spesa. Solo che la questione rischia di favorire più il Nord. La Calabria in effetti non ha problema di personale: non esiste un esubero dopo un decennio di blocco del turnover. Gli sprechi sono altrove: alla voce appalti.


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