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Due Paesi separati che, per puro caso, si dividono una penisola. A guardare i dati pubblicati ieri dall’Istat, verrebbe la tentazione di descrivere in questo modo l’Italia. Pil e reddito procapite di Nord e Sud viaggiano su livelli talmente diversi, infatti, che pensarli parte dello stesso sistema economico diventa sempre più complicato. Nel 2018 «il Pil procapite – si legge nella nota diffusa dall’Istituto di statistica – vede in cima alla graduatoria l’area del Nord-ovest con un valore in termini nominali di oltre 36mila euro, quasi il doppio di quello del Mezzogiorno, pari a circa 19mila euro annui». Dati sopra i 30mila euro anche per il Nord-est, con 35,1mila euro e il Centro, con 31,6mila euro.

Le ragioni di un divario tanto profondo sono a ricercarsi nel tasso di crescita del Prodotto interno lordo, cresciuto dell’1,4% nel Nord Est, dello 0,7% nel Nord Ovest e nel Centro e di appena lo 0,3% nel Mezzogiorno. Media nazionale: 0,8%. Dietro ai freddi numeri ovviamente c’è molto di più: l’Istat attribuisce la «ripartizione più dinamica» conseguita dal Nord Est alla «performance dell’industria». Quella stessa industria che, nonostante i risultati da capogiro, continua a ricevere una fetta di aiuti di Stato molto più consistente di quella destinata al Mezzogiorno, eterno anello debole dell’Italia produttiva.

SERVITI E RIVERITI

Lo dicono i numeri provenienti dal registro degli aiuti di Stato, istituito presso la Direzione generale per gli aiuti alle imprese del ministero dello Sviluppo economico. La ricca Lombardia, da agosto 2017 ha ricevuto 3,5 miliardi di euro in aiuti di Stato, quasi sei volte i 600 milioni incassati dalla Calabria. Quella stessa Calabria che, è appena il caso di ricordarlo, chiude la classifica Istat, confermandosi la regione più povera d’Italia, con un Pil procapite di 12,7 mila euro. Però, si potrebbe obiettare, il dato generale sugli aiuti di Stato risulta molto più equilibrato. Le risorse concesse vanno infatti per il 38,3% alle regioni meridionali e per il 61,7% al Centro Nord. Addirittura ci si troverebbe al di sopra della famigerata clausola del 34%, che pretenderebbe di destinare al Mezzogiorno una quantità di risorse pari alla popolazione residente. Il dato merita, però, una correzione, fornita dallo stesso registro degli aiuti di Stato. Se si scomputano dal totale le misure cofinanziate con fondi europei, i rapporti di forza cambiano in maniera evidente: il Centronord si accaparra il 73,2% degli aiuti, al Sud va appena il 26,8%. Ben al di sotto della quota di garanzia del 34%. E a guardare i dati e le considerazioni dell’Istat, già quel 34% sarebbe poco. Come si può pensare di far ripartire la metà più arretrata del Paese, concedendole soltanto quello che le spetterebbe comunque in una condizione di pari benessere economico? E nella maggior parte dei casi anche quel 34% rimane solo un miraggio.

REGIONE PER REGIONE

Ma torniamo ai numeri. Nel Mezzogiorno solo tre regioni su otto ricevono risorse uguali o superiori al miliardo di euro: la Campania (2,2 miliardi), la Sicilia (1,7 miliardi) e la Puglia (1,6 miliardi). L’Abruzzo, regione il cui tessuto economico è stato messo in difficoltà anche dagli eventi sismici degli ultimi anni, si ferma a 600 milioni. Stessa sorte per la Sardegna, prende invece 700 milioni la Basilicata. Da Roma in su la situazione è molto più omogenea. Oltre al bottino da 3,5 miliardi portato a casa dalla Lombardia, non scendono sotto il miliardo altre sei regioni: Veneto (1,5), Piemonte (1,3), Emilia Romagna (1,3), Lazio (1,1), Toscana (1,0), Trentino Alto Adige (1,0). La torta degli aiuti di Stato forniti alle imprese fa gola, soprattutto per le sue dimensioni tutt’altro che trascurabili. Per avere un’idea della mole di risorse: da agosto 2017 sono stati erogati oltre 22 miliardi di euro, spalmati su circa un milione e 351mila interventi. Risorse gestite nell’illusione che il Paese viaggi ad un’unica velocità e che quindi, ancora una volta, non sono riuscite a fare la differenza per il Mezzogiorno.


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