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Una casa di riposo per anziani

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«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid 19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle».

Luca Degani è il presidente di Uneba, l’associazione di categoria che mette insieme circa 400 case di riposo lombarde. La sua è un’accusa precisa. Tira in ballo le responsabilità dell’assessore alla Sanità Giulio Gallera e del presidente Attilio Fontana. Altri direttori e altri responsabili di Rsa hanno scelto il silenzio o si sono rifugiati nella retorica del lutto. Una forma di protezione dal dolore. Che accomuna tutti, infermieri, medici, personale. Nel tempo si erano stabiliti legami non solo professionali. C’è chi, a causa del Coronavirus, ha perso pazienti, chi amici, chi colleghi.

«MOLTI DI NOI HANNO PAURA»

«Dipendiamo per un buon 30% dai finanziamenti della Regione -riprende Degani – logico che molti abbiano paura di perderli. Non parlano e io li capisco, Ma noi, che facciamo parte del Terzo settore e siamo no profit, certe cose dobbiamo dirle: i nostri ospiti hanno una media di 80 anni, sono persone con pluripatologie. Come potevamo attrezzarci per prendere in carico malati spostati dagli altri ospedali per liberare posti-letto? Ci chiedevano di prendere pazienti a bassa intensità Covid e altri ai quali non era stato fatto alcun tampone. Il virus si stava già diffondendo. Stavamo per barricarci nelle nostre strutture, le visite dei parenti erano già state vietate».

Il fuoco è divampato all’improvviso e l’incendio non si è ancora spento, facendo strage di anziani. Talmente tanti che nella Bergamasca e nel Bresciano il numero dei decessi è ancora incerto. Forse duemila in più di quelli ufficiali. Una mattanza tenuta segreta, separata dalla contabilità quotidiana della Protezione civile.

LA LETTERA D’ALLARME «SIAMO A RISCHIO»

La delibera della giunta Lombarda – la numero XI/2906, 8 marzo 2020 – chiedeva alle Ats, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid 19 a bassa intensità.

Il presidente di Uneba spiega: «Dopo la delibera abbiamo chiesto chiarimenti, maggior parte delle nostre strutture non hanno dato seguito alla richiesta della regione. Ma c’è chi l’ha fatto e poi si è pentito. Come potevamo accettare malati ai quali non era stato fatto alcun tampone né prima né dopo? Senza dire, che il nostro personale sarebbe stato comunque a rischio. Si sono infettati medici e sanitari in strutture molto più attrezzate della nostra. Non ci hanno dato i dispositivi di protezione ma volevano darci i malati… insomma».

Ipotizzare la presenza di pazienti Covid è ritenuto – si legge nella lettera inviata alla Regione – «estremamente complesso, difficile e potenzialmente rischioso». Le Rsa ospitano, infatti, per lo più anziani che hanno già malattie gravi e conclamate. Che non possono essere più assistiti a domicilio. In totale dispongono di 70mila posti letto, tra privati, (80%), enti vari e strutture pubbliche.

In quei giorni l’assessorato alla Sanità aveva avviato una ricognizione dei posti letto. Con la delibera dell’8 marzo si disponeva il blocco, da lunedì 9 marzo, dell’accettazione di pazienti provenienti dal territorio, l’anticipo delle dimissioni verso il domicilio dei pazienti ricoverati e del 50% del turn over nelle Rsa in grado di offrire assistenza medica e infermieristica H24 e presenza di medici specialisti. Tra le richieste, anche la capacità di garantire ossigenoterapia.

Non tutti, però, purtroppo, hanno detto di no. C’è chi li ha presi i malati. Chi ha rischiato di far entrare il l virus dalla porta principale: Don Gnocchi e Gleno a Milano, Sacra Famiglia a Cesano Buscone, la Fondazione Uboldi a Paderno Dugnano e altre ancora.

LE MEZZE VERITA’

Tutto questo non sarebbe venuto fuori se il direttore sanitario di una Casa di riposo milanese – intervistato da Irene Benassi durante la trasmissione Agorà, su Rai3 – non avesse accennato alla “strana” richiesta della giunta lombarda. Una mezza verità venuta fuori poco alla volta. Anche se in realtà i primi a contestare la strategia della giunta lombarda, chiamando in causa l’assessore alla Sanità Gallera e il governatore Fontana, erano stati Matteo Piloni e Antonella Forattini, consiglieri regionali dem.

«Le Rsa sono luoghi di persone fragili, molto spesso immunodepresse, lo stesso personale, tra l’altro decimato, non è istruito a trattare tale patologia, l’isolamento di piani Covid in una Rsa è puramente fisico e non esclude il contagio».

LA STRADE SEGRETE DELLE MASCHERINE

Quando il dietrofront è partito era ormai troppo tardi, «la necessità di liberare rapidamente posti letto di Terapia Intensiva e Sub Intensiva e in regime di ricovero ordinario degli ospedali per acuti» – come si legge nella delibera, ha prevalso su tutto. Forse anche sul più comune buon senso.

In molte case di riposo lombarde ancora si aspettano le mascherine. C’è chi ha provato a ordinarle senza aspettare la Regione e la Protezione civile. È riuscito a ottenerle camuffando l’ordine d’acquisto e la bolla di accompagnamento per evitare il sequestro e i controlli in dogana. Mascherine provenienti dall’Azerbaijan ma in realtà prodotte in Cina e spacciate per tessuti: cosa bisogna fare per salvarsi la vita.


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