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Maria Carmela Rozza

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MARIA Carmela Rozza è finora l’unico esponente politico italiano che si è dichiarata pubblicamente responsabile per gli oltre undicimila morti della Lombardia (LEGGI LA NOTIZIA). Lo ha fatto parlando alla giunta regionale da infermiera qual è, anche se il suo ruolo adesso è quello di consigliere regionale del partito democratico.

Lo sa che lei è la prima finora ad assumersi la responsabilità di quello che è successo?

«Lo so. E so anche che il presidente Fontana e l’assessore Gallera hanno detto che rifarebbero tutto quello che hanno fatto in questi ultimi due mesi per filo e per segno. Sentirglielo dire per me e per molti infermieri e medici che mi hanno scritto è stata una pugnalata al cuore. Ci sono stati errori gravi, anzi gravissimi. Noi li avevamo avvertiti, in una lettera scritta il 3 marzo chiedevamo che i pazienti positivi non venissero inviati subito negli ospedali e che le Rsa in cui c’erano già stati casi di Coronavirus venissero trasformati in centro Covid. Non ci hanno dato ascolto. Erano i giorni in cui in regione c’erano stati alcuni contagi. Con questa scusa si sono chiusi dentro e hanno fatto tutto da soli».

In quel video postato su Facebook, diventato subito virale, lei dice di sentirsi responsabile per tutte quelle morti. Perché?

«Perché non siamo riusciti a evitarlo. Se stai in una istituzione, anche se fai parte dell’opposizione, devi sentirti responsabile di quel che succede. Il quadro ci era chiaro sin dall’inizio, io sono un’infermiera professionale, presi il mio bel diploma nell’ 83 a Ragusa, dove sono nata, e mi trasferii a Milano, dove sono stata assessore ai Lavori pubblici con Pisapia e assessore alla Sicurezza con Sala. Mettere quei pazienti dentro le Rsa è stato assurdo. Quella delibera dell’8 marzo, che voi per primi avete pubblicato, è stato un disastro. Non bisogna essere scienziati per capire il concetto basico di contenimento. Se sei positivo ti contengo. Tutti avevano visto in tv le immagini di quel ragazzo italiano tornato dalla Cina sotto una bolla di vetro. Com’è stato possibile, mi chiedo, infettare gli ospedali lasciando i pazienti in corsia con la sola mascherina chirurgica. Uno avrei potuto anche capirlo, ma ne sono arrivati centinaia e tutti insieme. Altri sono morti a casa, da soli soffocati. Le ambulanze andavano e venivano. Si sono messi a ribaltare interi reparti. Chi indossa un camice sa cosa vuol dire. Sa anche che quando ci sono tutti questi spostamenti c’è una grande possibilità di fuoriuscita del virus».

Chi li ha consigliati, Fontana e Gallera? Lei lo sa?

«Glielo abbiamo chiesto tante volte. Hanno sempre risposto allo stesso modo: abbiamo fatto quel che ci dicono gli scienziati».

Si, ma chi?

«Buh…».

Il 4 maggio si riapre.

«Non so cosa potrà succedere. Fermi non possiamo stare, rischiamo il default ma, in realtà, qui, da quando è scoppiata l’epidemia non è cambiato molto».

Lo avete un piano di riorganizzazione degli ospedali?

«Che mi risulti ancora no. Tutto come prima»

È un piano di sorveglianza sanitaria?

«Nemmeno, neanche a parlarne. E non sappiamo ancora che assetto ci vogliamo dare tra Covid e no-Covid».

La situazione nelle Rsa però è cambiata?

«La buona notizia è che in alcune Rsa hanno iniziato a fare tamponi ma c’è ancora carenza di dispositivi e di personale. Come si sa, molti infermieri si sono licenziati, sono passati dal privato al pubblico. Il contratto è migliore, si guadagna meglio. Senza dire che il futuro delle Residenze sanitarie va ripensato. In tutto quello che è successo c’è un paradigma sociale. La considerazione che questa maggioranza ha degli anziani. La loro fragilità non era un problema della Regione. Nella successiva delibera, quella del 30 marzo, (in cui si chiedeva alle Rsa di non trasferire negli ospedali gli ultra 75enni, n.d.r.) c’è una aperta violazione della Costituzione, il diritto di essere curati. Si è deciso di lasciar morire gli anziani».

È successo anche in altre regioni e in altri Paesi europei.

«Nessuno, però, come in Lombardia ha commesso errori così gravi e calpestato in questo modo i diritti delle persone. Quello che è successo, il dramma che abbiamo vissuto, deve indurci a una profonda riflessione. Chi ha agito in questo modo probabilmente non sapeva neanche cosa fosse una Rsa, distinguere tra chi sta bene e chi invece è in lungodegenza. Si è pensato che le strutture dovessero farsi carico anche della loro salute, c’è stato uno scaricabarile».

Quindi?

«Quindi sono molto preoccupata, lo confesso. Spero che il governo ci ripensi e si orienti verso aperture diversificate. Per ripartire bisogna capire che economia e salute sono due cose che non si possono separare. Si può ripartire se si fa lo screening, se si fanno i tamponi, se ci sono posti per l’isolamento e per la terapia intensiva».

Dopo quel video in molti le hanno scritto. Per dirle cosa?

«Qui ho molti amici, mi conoscono in tanti. Per anni mi sono occupata di case popolari, in centro posso perdermi, in periferia conosco anche le stradine. Mi hanno scritto e anche quando m’incontrano mi dicono che ho fatto bene».

A prendersi lei tutta la colpa?

«Non ci crederà, ma è la cosa che hanno apprezzato di più. Non essere riuscita a correggere gli errori, a fermarli, per me è un peso. Lo penso davvero. E mi dicono anche una seconda cosa: hanno apprezzato il ricordo di tutti quei morti, quelle bare in fila, quelle immagini che tutti abbiamo sotto gli occhi e chissà per quanto ancora ci resteranno».


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