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Il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte

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FORSE approderà in consiglio dei ministri mercoledì, ma con il decreto che deve stanziare 55 miliardi a sostegno della crisi innescata dal Covid-19 non si può mai sapere: doveva essere il decreto aprile, ormai è chiaro che al massimo sarà il decreto maggio, mentre c’è chi già ironizza sul fatto che possa diventare il decreto giugno. Sembra che tutto dipenda da accordi che non si riescono a trovare fra le forze di maggioranza e dunque fra i ministri da queste designati.

REDDITO DI EMERGENZA

Uno sarebbe ormai chiaro: contrasto sul reddito di emergenza tra M5S che lo vorrebbe affidato all’Inps (sarà mica perché il vertice di quell’istituto l’hanno nominato loro?) e il Pd e Iv che invece sostengono che vada affidato ai comuni. Non è solo un problema ideologico, ma una questione politica di un qualche rilievo. L’Inps è un gigantesco istituto che si occupa di tantissime cose e che però ha una scarsa conoscenza dei territori. In più non è che nella gestione dei primi interventi di sostegno a chi era colpito dalle conseguenze della pandemia abbia mostrato grandi talenti manageriali. I comuni sono indubbiamente strutture con maggiori capacità di vicinanza ai bisogni dei loro cittadini e già rodati nel lavoro di confronto con le emergenze per la povertà. Aggiungiamoci, e non ci pare osservazione da poco, che affidare loro la gestione di questo delicato settore del sostegno alle emergenze sociali significa di fatto sottrarsi alla logica del governo pigliatutto, perché quegli enti hanno le più diverse coloriture politiche (dunque si coinvolgerebbero anche le opposizioni) e al tempo stesso la possibilità di controllo su di loro da parte dei cittadini è molto più alta per evidenti ragioni di prossimità. Dovrebbe essere una normale questione di buona democrazia, ma temiamo che in questo momento le logiche siano altre.

Come è noto i ministri rispondono, di fatto, oltre che alle rispettive forze politiche, agli staff burocratici dei loro ministeri. Significa che nella attuale situazione ci sono lotte molto accese, perché in teoria i soldi da governare sono tanti e il potere che deriva dal controllo di quote di questa distribuzione è da tenere in conto. Non manca chi rileva che in realtà più che soldi spesso si distribuiscono promesse, perché non pare proprio che ci sia la capacità di erogazione necessaria, ma alle grandi burocrazie questo interessa relativamente: è più importante ottenere l’assegnazione di un potere (è un fatto anche simbolico nella competizione fra di loro) che non il contenuto materiale di quel che si ottiene. Non è difficile pensare quanto sia complicato e delicato il compito di scrivere il famoso decreto che tutti aspettano. Ci sono varie cose da far quadrare: il potere dei singoli partiti della coalizione; le richieste delle varie burocrazie ministeriali; il quadro normativo in cui inserire gli interventi, il che significa mettere qualsiasi decisione in un mosaico di leggi, norme, regolamenti e quant’altro precedenti. I profani sono giustamente colpiti dal fatto che ogni documento abbia qualche pagina di premesse che consistono in “vista la legge tale, il decreto talaltro, quanto previsto dai successivi regolamenti, ecc. ecc”.

Il cittadino normale non ci capisce nulla, ma tutto è fatto in previsione dei contenziosi, perché bisogna evitare che in giudizio un magistrato o un avvocato mandi tutto all’aria richiamandosi ad una normativa precedente, non abrogata (ma in Italia non si abroga quasi nulla) e che entra in contrasto con quanto si è deciso.

FUGA DEGLI INVESTITORI

E’ la giungla con cui si scontra tutto il nostro sistema decisionale e politico, ciò che fa fuggire molti investitori e che mina la nostra credibilità internazionale. Si capisce perché ultimamente sempre più si assista, raramente in forma esplicita, più di frequente in maniera coperta, alla richiesta di poter fruire di qualche “scudo penale”. In un momento di emergenza in cui si devono mettere in campo interventi straordinari, non fosse altro per non rimanere indietro rispetto a quello che fanno i nostri partner europei dover fare i conti con queste complessità è decisamente invalidante. Purtroppo il connubio tra cordate burocratiche e cordate politiche, fenomeno sempre esistito, si è fatto oggi più difficile da tenere sotto controllo, perché in una situazione di generale instabilità del quadro complessivo si è assistito al frammentarsi dei centri direzionali sia della politica che delle burocrazie.

LA QUERELLE EMBLEMATICA

Il recente caso della querelle fra il ministro della giustizia, il Cinque Stelle Bonafede, e il procuratore Di Matteo è emblematico. I grillini da tempo avevano cercato agganci con settori della magistratura (sostenuti in questo dai loro organi di riferimento) e hanno evidentemente fatto promesse che poi, una volta entrati nel contesto di rapporti con altre reti burocratiche, non hanno ritenuto più vincolanti e adesso ovviamente pagano il prezzo del loro dilettantismo. Il problema è che sarà difficile gestire bene una crisi se non si ha l’autorevolezza e la forza di reggere il timone. Si possono fare tutti i DPCM ed atti simili che si vuole, ma se poi si è vittime della combinazione fra le necessità di tutti i membri di una coalizione di intestarsi risultati e le pressioni delle burocrazie, stabili o provvisorie, che si sono chiamate a dar man forte si andrà poco lontano. Non solo perché il paese chiede sempre più di vedere risultati e capacità di risolvere i problemi (ormai degli annunci nessuno sa più cosa farsene), ma perché i nostri partner europei che sono anche nostri competitori sono in diversi casi privi delle catene che noi ci siamo lasciati mettere alle caviglie.


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