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Gente in strada con le mascherine

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Al Gran Ballo delle Mascherine non sono previsti né dame né cavalieri. Questa è una danza folle appena partita, che porta a ogni mossa a un passo dal burrone. Mettono le vertigini le centinaia di milioni di euro in ballo – esatto, in ballo – e le infinite possibilità, alcune della quali già abbondantemente sperimentate, di aggirare la norma. Abbiamo già visto tanto, ma non abbiamo visto tutto: la Protezione civile, per dare un’idea, ha stipulato nei giorni più duri, contratti per 350 milioni accettando fornitori respinti invece da Consip (Concessionaria servizi informativi pubblici, la centrale d’acquisto della pubblica amministrazione). Accettando anche di pagare mascherine alla Agmin Italy su un conto alle Cayman. Un’azienda giapponese, la Tokyo Medical Consulting, sempre in quei giorni, ha strappato un contratto da 260mila mascherine a 1,67 euro l’una per un totale di 435 mila euro, ovviamente già liquidati. E le inchieste a grappoli, a cominciare da quella della procura di Siracusa che tocca Irene Pivetti (20 milioni e rotti già liquidati), e per continuare con sequestri e perquisizioni da Falconara a Giugliano, da Como a Torino, fino a Roma e Milano.

Per non dire degli spiccioli: a Roma, nel cuore della Balduina, il signor giornalaio ieri mattina esponeva gagliardamente mascherine chirurgiche a 2,20 l’una. E c’è da credere che non sia proprio un pescecane, avrà fatto i suoi calcoli. E sempre a Roma. al quartiere Trieste segnalano farmacisti ingegnosi, che spiegano e rispiegano ai loro clienti una teoria piuttosto curiosa. Non sarebbero tenuti a nessun prezzo politico perché le mascherine da mezzo euro sono contrassegnate da un codice impossibile, EN149:2001+A1:2009. E loro non ne hanno, quindi prezzo libero. Capito a che punto siamo?

Poi c’è Arcuri, Sua Fornitura Domenico Arcuri, commissario straordinario per il Covid,, che da giorni e giorni batte sullo stesso tasto: mezzo euro a mascherina chirurgica (sempre che sia tolta presto l’Iva, altrimenti 0,61), da vendere in 20mila supermercati, 30mila farmacie e 50mila tabaccai (anche se con loro l’intesa è ancora da perfezionare). E altre mirabilie: dal 4 maggio, cioè da lunedì scorso «potremmo» distribuire 12 milioni di mascherine al giorno, tre volte l’attuale fornitura, dal mese di giugno 18 milioni, dal mese di luglio 25 milioni, quando le scuole cominceranno a settembre 30 milioni «11 volte il numero di quelle che distribuivamo all’inizio dell’emergenza».

Tutto risolto, quindi? Purtroppo no. Nonostante qualche obiettivo passo avanti, perché Arcuri ha comunque firmato accordi con Confcommercio, Federdistribuzione e Conad. E ha ricevuto l’appoggio per nulla scontato di Federfarma, che attraverso il presidente Marco Cossolo lancia messaggi rassicuranti: «Ho sempre sostenuto che la Sanità non si può lasciare al libero mercato, ma deve essere un mercato governato.Mi pare che si sia andati in questa direzione». Fra le righe potreste anche leggervi che i farmacisti aspettano trepidanti, sotto qualsiasi forma, un «ristoro», un risarcimento cioè, per tutte quelle forniture di mascherine che si erano procurati a prezzi ben più alti di quelli a un certo punto fissati da Arcuri. C’è da credere che non rimarranno delusi.

E comunque queste sono le fanfare, perché a togliere la corteccia… Ci sono stime che ritengono il fabbisogno del paese addirittura oscillante fra 40 e 100 milioni di pezzi al giorno. Figuratevi dunque a che punto siamo. Una situazione di gran confusione perché, ad esempio, l’ufficio del commissario Arcuri riceve 8 milioni di mascherine dalla Cina ogni settimana (a che titolo? con quale accordo?) mentre altri 4 milioni gli arrivano dal nostro «sistema moda» ( e anche questo, che canale è?). Gliene arriveranno poi altri cinque milioni, di mascherine chirurgiche, a regime, dalle imprese che hanno iniziato la produzione grazie agli incentivi di Cura Italia, altro poco considerato rivolo di finanziamenti. Le stesse imprese, per dirla tutta, che gliene hanno assicurate 30 milioni dalla produzione «in house». Districarsi in questo labirinto è praticamente impossibile. L’unica altra notizia è che tre milioni di FFP2 e FFP3, le mascherine più costose, arriveranno da queste stesse imprese. Con una sostanziale differenza: che a dispetto degli incentivi ricevuti potranno venderle a prezzo libero. Niente male, no?

Ma non è finita. Da un’indagine dell’Ircaf (Istituto di ricerca consumo, ambiente e formazione) del 26 aprile scorso , mica un anno fa, si scopre che in Italia solo 67 farmacie su cento hanno in vendita mascherine monouso. Si va dal 100 per cento di Bolzano al 42 per cento di Bari, con Roma nella media nazionale. Più di tre farmacie su dieci, insomma, sembrano restìe a seguire la dottrina Arcuri. Poi il prezzo. Secondo lo stesso studio Ircaf nelle 263 farmacie contattate il medio rilevato è stato di 1,59 euro a mascherina, passando dai 2,22 di Torino allo 0,59 di Trieste.

Questo per dire da dove si veniva dove si sta andando e per mettere sull’avviso chi non riuscirà proprio a trovarle queste benedette mascherine, «dispositivi medici formati da tre strati di tessuto con un sistema filtrante quasi totale».

Poi ci sono le «altre», le FFP2 e FFP3, un acronimo che sta per « filtering face piece», cioè maschera filtrante, «dispositivi pensati per l’uso industriale per proteggere da polvere e fumi».

Ebbene, per questi due tipi di mascherina la domanda è crescente, con le FFP2 che costano in media 7,58 euro, dai 5,55 di Napoli ai 9,82 di Bari, e le FFP3 che si attestano sui 10,56 euro di media .

La domanda sarà anche ingenua, ma la facciamo ugualmente: perché non si è pensato di calmierare anche le più costose?

Ci sarebbe anche da dire della Medtronic.Okay, non si tratta esattamente di mascherine monouso, ma piuttosto di ventilatori polmonari. La storia l’ha scoperta Report per la Rai e noi, come tale, ne riferiamo, se non altro perché rende bene l’aria che tira. Nei giorni peggiori dell’emergenza la Medtronic, società americana con «sede produttiva» a Modena, prova a esportare all’estero i suoi tubi per ventilatori polmonari, ma viene bloccata alla dogana del porto di Genova. Sono ore drammatiche, le apparecchiature vengono immediatamente consegnate all’ospedale San Martino .

Il commissario straordinario Arcuri dà il suo via libera alla decisione. È il 27 marzo. Peccato che solo dopo tre giorni ci ripensi, quando il carico ormai è stato già distribuito. Così il primo aprile prende carta e penna e scrive alla Farnesina e a Palazzo Chigi. Chiede «pro futuro» che le merci della Metronic non siano più sottoposte a rischio di requisizione, nel nome di «superiori interessi nazional». Ce li spiegherà un giorno questi «superiori interessi nazionali»?


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