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Personale della Direzione investigativa antimafia

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NON è un discorso metagiuridico quello del gip del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini che, nel valutare le esigenze cautelari a carico dei rampolli dello storico clan siciliano dei Fontana che si erano trasferiti in Lombardia e gestivano il business della vendita del caffè attraverso una rete di insospettabili, tiene conto dei «peculiari riflessi delle misure di contenimento del Covid-19 sul pericolo di reiterazione di reati». E’ sì un allarme sociale ma anche una valutazione della probabilità di reiterazione del reato da parte dei 91 destinatari della mega ordinanza di custodia cautelare scattata tra Milano e Palermo, nonché un calcolo delle chances di ulteriore espansione delle attività di Cosa Nostra.

LE RICADUTE SOCIALI

I fatti contestati, del resto, risalgono a un periodo compreso tra il 2018 e i giorni nostri. Il riferimento è alle ricadute economico-sociali del lockdown che ha determinato la sospensione di buona parte della attività delle imprese e degli esercizi commerciali e al pericolo che le mafie, nella fattispecie Cosa Nostra, si approprino delle aziende in crisi. Lo stesso tema che era emerso dal forum del Quotidiano durante il quale, incalzati dal direttore Roberto Napoletano, magistrati e studiosi del calibro di Nicola Gratteri, Antonio Nicaso e Filippo Spiezia hanno sostenuto che se lo Stato non riesce né a far arrivare liquidità a chi ha perso il lavoro e ha fame, né contributi a fondo perduto compensativi alle aziende che perdono fatturato per la chiusura delle attività, c’è il rischio che le imprese si rivolgano alla “banca” della criminalità organizzata. Ma adesso questo allarme è messo nero su bianco in un’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Morosini e diventa esigenza cautelare.

«Le misure di distanziamento sociale per il contenimento della epidemia stanno determinando anche sul territorio di Palermo e più in generale sul territorio nazionale, un contesto assai favorevole ai piani della associazione criminale. Da una parte, l’attuale condizione di estremo bisogno (persino di cibo quotidiano) di tante persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, può favorire forme di soccorso mafioso prodromiche al reclutamento di nuovi adepti. Dall’altra, il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese è in grado di cagionare una crisi di liquidità difficilmente reversibile per numerose realtà economiche, in relazione alla quale l’intervento dei componenti del gruppo mafioso potrebbe manifestarsi attraverso quei delitti tipici della predetta organizzazione criminale, vale a dire l’usura, l’estorsione, il riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni». Sono le imputazioni elevate nei confronti degli esponenti di vertice della famiglia mafiosa (i fratelli Angelo e Gaetano Fontana, dei loro collaboratori più stretti (Filippo Lo Bianco) e dei fiancheggiatori nelle operazioni di reinvestimento dei capitali illecitamente accumulati. La drastica riduzione della redditività degli esercizi commerciali determinata dal blocco dell’attività renderà difficile per i titolari delle attività di Palermo il pagamento di canoni di affitto, degli stipendi dei dipendenti, degli oneri fiscali, dal momento che il ritorno alla normalità non è prevedibile in tempi brevi.

L’ALTRA EMERGENZA

Una situazione che potrebbero sfruttare i clan, sempre pronti a «dare la caccia» ad aziende in stato di necessità. E con la crisi di liquidità di cui soffrono imprenditori e commercianti, «i componenti dell’organizzazione mafiosa potrebbero intervenire dando fondo ai loro capitali illecitamente accumulati per praticare l’usura e per poi rilevare beni e aziende con manovre estorsive, in tal modo ulteriormente alterando la libera concorrenza tra operatori economici sul territorio e indebolendo i meccanismi di protezione dei lavoratori-dipendenti».

Considerate le enormi liquidità a loro disposizione, se messi in libertà i componenti del clan potrebbero «approfittare della crisi dei piccoli commercianti e delle aziende di piccola o media dimensione, per rilevarne l’attività o per condizionarne l’operato». Insomma, l’emergenza sanitaria ed economica si configura come esigenza cautelare perché, anche se le autorità centrali hanno deciso di stanziare ingenti risorse per il salvataggio di imprese ed esercizi commerciali, «va considerato che l’effettività di quel sostegno passerà per procedure amministrative che difficilmente consentiranno nell’immediato di far fronte alla crisi e che, quindi, potrebbero rivelarsi tardive o di complessa attuazione». Lo aveva confermato il procuratore Gratteri, rispondendo al direttore Napoletano, che arriveranno prima i soldi della finanza parallela della ‘ndrangheta rispetto a quelli dello Stato. Anzi, Gratteri sostiene che «la ‘ndrangheta già li sta dando». Dei ritardi del soccorso o delle difficoltà tecniche di avvalersi del sostegno dello Stato per tanti piccoli operatori economici potrebbe approfittare l’associazione mafiosa, «in grado di assicurare interventi rapidi e concreti suscettibili, poi, di tradursi in forme di riciclaggio o reimpiego». Le mafie mica hanno bisogno di garanzie, come è stato detto più volte durante il forum. Il centronord è ancora più a rischio, il problema non riguarda certo solo Palermo. «Secondo gli esperti più accreditati – scrive sempre il gip – i riflessi delle misure atte a contenere la pandemia fanno sentire il loro peso anche sulle realtà economiche del centro-nord Italia, con il relativo pericolo di aggressione da parte dei capitali mafiosi».

I COMPLICI

Le inchieste delle Procure del Nord degli ultimi anni hanno acclarato che «laddove i gruppi mafiosi annoverano insediamenti stabili riescono, con la compiacenza di professionisti, di segmenti delle istituzioni e di imprenditori indigeni, a investire in realtà aziendali che soffrono i frangenti in cui si manifestano le crisi di liquidità. In passato i settori colpiti al centro-nord dal “contagio mafioso” sono stati il ciclo dell’edilizia e del cemento, nonché lo smaltimento dei rifiuti e la filiera del turismo. La crisi determinata dal coronavirus potrebbe portare certi gruppi criminali particolarmente duttili ad esplorare anche comparti meno battuti che possono ora diventare molto redditizi, quali ad esempio la sanità, peraltro già interessata in Lombardia da indagini giudiziarie».

La mafia che guarda agli appalti pubblici che stanno per piovere sulla sanità, dunque, magari anche al mercato dei dispositivi. Del resto, i fratelli Angelo e Gaetano Fontana, figli di quello Stefano che era uno dei fedelissimi del capo dei capi, Toto Riina, «sono, da tempo, insediati nella realtà milanese dove praticano forme di riciclaggio e reimpiego di proventi illeciti, conseguiti con le estorsioni, il traffico di stupefacenti e il controllo del gioco d’azzardo». Lo schema è ricavabile dalle sentenze sugli insediamenti delle cosche calabresi, siciliane e campane al Nord: si de-localizza «grazie ad una rete di complici su quei territori e ai patrimoni accumulati». «Una contaminazione silente ma non meno insidiosa per l’economia nazionale, in termini di alterazione della libera concorrenza, indebolimento delle tutele per i lavoratori ed esposizione delle istituzioni alla corruzione».


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