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La guardia di finanza di Palermo, impegnata nell'operazione con Milano

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di ANTONIO NICASO

Era prevedibile: le mafie stanno arrivando prima dello Stato, sfruttando disagi sociali e difficoltà economiche. Lo hanno sempre fatto, dal colera in Sicilia del 1867 alla crisi del subprime del 2008. Ce lo dice la storia, ricordando come i clan mafiosi siano sempre riusciti a trasformare le crisi in opportunità, dialogando e cercando accordi con tutti quei soggetti dai quali è stato possibile ricavare utilità, senza mai assumere posizioni subalterne. Non si sono smentiti neanche in questi mesi caratterizzati dalla sospensione delle attività economiche e sociali imposte dagli sforzi per contenere il contagio di una crisi che sembra richiamare quella della Grande Depressione. Prima hanno messo in piedi forme alternative di welfare utili per legittimare il consenso sociale di cui godono in molti territori. Ora, come sembra adombrare l’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere tra Palermo e Milano 91 persone (LEGGI), i clan cominciano a strizzare l’occhio alle opportunità offerte dall’emergenza economia legata al coronavirus.

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SU COME LE MAFIE AL NORD ABBIANO FATTO SISTEMA

Il giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo, Piergiorgio Morosini, accogliendo la richiesta della Direzione distrettuale antimafia, guidata da Francesco LoVoi, per la prima volta, lo mette nero su bianco, la necessità delle misure cautelari per scongiurare il rischio della reiterazione del reato e quindi della possibilità di dare la caccia alle tante aziende in stato di necessità, anche nel Nord d’Italia. Secondo Morosini sono due i fronti di lotta: da una parte, la attuale condizione di estremo bisogno (persino di cibo quotidiano) di persone senza una occupazione stabile, o con un lavoro nell’economia sommersa, che rischia di favorire forme di soccorso mafioso «prodromiche» al reclutamento di nuovi adepti. Dall’altra, il blocco delle attività di tanti esercizi commerciali o di piccole e medie imprese a causa di una crisi di liquidità difficilmente reversibile che, invece, potrebbe favorire l’intervento di gruppi mafiosi attraverso delitti tipici come l’usura, l’estorsione, il riciclaggio e l’intestazione fittizia di beni.

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SU COME I SOLDI DELLA CRIMINALITÀ ARRIVANO PRIMA DI QUELLI DELLO STATO

Nell’inchiesta della Procura di Palermo, la volontà di impadronirsi delle attività del territorio è emersa nel settore del commercio di prodotti agro-alimentari, nell’ambito del mercato ortofrutticolo, nella torrefazione e nella vendita del caffè, nelle agenzie di scommesse e gioco d’azzardo, nelle attività collegate ai cantieri navali. I settori più colpiti dalle misure anti-contagio restanocomunque quelli relativi alle piccole e medie imprese, agli artigiani, agli esercizi commerciali, in particolare bar, ristoranti, alberghi e altre strutture ricettive. È un rischio che coinvolge l’intero Paese. Se lo Stato non riuscirà ad intervenire tempestivamente, sostenendo le imprese e i cittadini in difficoltà, a farlo saranno le mafie, come mette in evidenza anche l’inchiesta di Palermo.

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Secondo gli inquirenti, una delle «famiglie» coinvolte, già identificata e nota ai tempi della collaborazione di Tommaso Buscetta, aveva saputo sviluppareuna fiorente attività imprenditoriale a Milano, nel settore del commercio di orologi di lusso, attraverso società – gestite direttamente, in Italia, o per interposta persona, all’estero, – fondamentale strumento per ripulire e far transitare l’enorme quantitativo di denaro contante frutto dell’esercizio del potere mafioso, ancora una volta con l’ausilio di soggetti compiacenti, professionisti consapevoli del loro ruolo e della loro funzione. Si tratta di gente che continua a prestare il fianco, a garantire varchi e a rafforzare la presenza delle mafie nel Centro e Nord Italia. Una sorta di capitale sociale che fa riferimento alla disponibilità di risorse collocate in reticoli di relazioni. La persistenza delle mafie può essere interpretata con la capacità di selezionare risorse specifiche per adattarsi sia nei contesti originari, sia in quelli di nuova espansione. In altri termini, le mafie si riproducono nel tempo e nello spazio grazie alla loro capacità di accumulare e impiegare capitale sociale.

È amaro ammetterlo: riusciremo a liberarci dal coronavirus, ma continueremo a convivere con le mafie, come abbiamo fatto negli ultimi 150 anni, semplicemente perché non si riesce a coglierne la pericolosità, la loro devastante capacità di inquinare e deformare i rapporti sociali ed economici. Un’altra amara verità è rappresentata dal fatto che i mafiosi finora sono riusciti ad affermarsi perché hanno ottenuto sempre e comunque legittimazione e riconoscimento politico, economico e sociale. Dopo le stragi, e dopo la forte reazione dello Stato coincisa con la sconfitta dei Corleonesi, purtroppo, è venuta via via, sempre meno, la sensibilità civile e istituzionale nella lotta alle mafie. Per lo Stato, a parte qualche eccezione, ‘ndrangheta, camorra e cosa nostra restano un problema di ordine pubblico. A combatterle ci pensino i magistrati e le forze dell’ordine. Gli altri possono turarsi il naso o girarsi dall’altra parte…


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