X
<
>

Condividi:
3 minuti per la lettura

In gioco ora c’è il vero tesoro dei Torlonia: 623 marmi Greco-Romani sottoposti a vincolo della Sovrintendenza archeologica. Opere d’arte inaccessibili, che dopo 70 anni di clausura verranno esposte al pubblico dal prossimo 4 aprile a Palazzo Caffarelli.

Ora che la Banca del Fucino spa, la cassaforte di famiglia che il principe Alessandro Torlonia ha lasciato in eredità agli eredi, è vuota (LEGGI LA NOTIZIA), l’asset di famiglia si sposta sulla collezione privata più importante al mondo.

Tutto era pronto per la vendita negli Usa. Si evince dagli atti del processo che i mediatori italo-americani hanno intentato negli Usa contro il Paul Getty Museum reclamando la loro lauta percentuale. Atto che chi scrive ha consultato.

Ma procediamo con ordine, perché il dissesto della Banca del Fucino – da 3 generazioni di proprietà dei Torlonia, svuotata e consegnata chiavi in mano al prezzo simbolico di 1200 euro a Banca Igea spa in cambio della ricapitalizzazione – e il tentativo di vendere la collezione vanno di pari passo.

Già in passato la diatriba fratricida era finita sul tavolo dei giudici e l’VIII del Tribunale civile di Roma aveva disposto il sequestro dei beni della famiglia, salvo poi ordinarne il dissequestro. Ma le questioni poste ai giudici sono molto diverse. L’ultimo ricorso è un atto d’accusa sulla gestione che ha portata al fallimento della Banca del Fucino. Il primo, accolto in prima istanza e poi respinto, la questione testamentaria. Una differenza non da poco, che riapre i giochi e riaccende la guerra.

I preziosi marmi, la Fanciulla da Vulci, Hestia Giustiniani, i “Dodici Cesari”, sarcofagi e preziosi busti rischiano di fare la stessa fine della Banca di famiglia? La cosiddetta “collezione delle collezioni”, inclusa la monumentale Villa Albani è patrimonio della Fondazione Torlonia, un contenitore creato nel 2014 dal principe Alessandro. Lo sarà fino al 2044. All’epoca il capostipite aveva 89 anni ed era già malato. Nominò presidente della Fondazione Alexander Francis Poma Murialdo, il figlio oggi 38 enne di Paola Torlonia. A lungo smentita, la trattativa tra il nipote di Carlo e il Paul Getty Museum, è stata svelata dai giornali Usa con la notizia della causa intentata dagli emissari al museo di Los Angeles per ottenere il risarcimento.

Una Newco italiana avrebbe acquistato le opere aggirando i vincoli. La collezione, pur restando italiana, sarebbe stata costantemente collocata all’estero.

L’accordo con i Torlonia era praticamente concluso. Agli intermediari sarebbero spettati, come si legge nelle carte processuali, 70 mln di dollari. Sfumò a causa del contenzioso che nel frattempo era scoppiato tra gli eredi: Francesca, Giulio, Paola, uniti contro il fratello primogenito Carlo. Si parlò dei vincoli di Stato. Di leggi italiane che ne impedivano la vendita. In realtà, se i gioielli dei Torlonia non sono ancora finiti a Malibù, ad impreziosire la strepitosa collezione del magnate americano Getty senior, è solo a causa di quella battaglia legale. Cioè della dinasty che vede tuttora contrapposti Paolo Torlonia e il resto della sua nobile e litigiosa famiglia. Uno scontro cominciato dopo la morte di Alessandro Torlonia, nel dicembre del 2017. Uno scontro cominciato appunto l’impugnazione del testamento lasciato dal Principe Alessandro e il temporaneo sequestro della preziosa collezione valutata circa 600 mln di euro.

Inizierà dunque il tour itinerante. Un viaggio di sola andata? I preziosi preziosi marmi tornerasnno in Italia?

C’è chi dice che il Paul Getty Museum sarebbe pronto a farsi di nuovo avanti. Che la strada per aggirare i vincoli è già stata spianata. La Fondazione interessata nega. Il sogno è realizzare il Museo dei Torlonia. Il palazzo di via della Lungara che a lungo ha ospitato le sculture nel frattempo è stato trasformato in miniappartamenti. Basterà la contesa tra fratelli-coltelli a fermare la fuga delle opere d’arte?


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE