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“Ho invitato i miei studenti ad esseri responsabili in questo momento e seri e rigorosi” così la giovane ministra alla pubblica istruzione Lucia Azzolina, parlando della possibilità che si finisca l’anno scolastico con il cosiddetto sei politico. Negando che tale conclusione potrà essere una soluzione, poiché la possibilità della didattica a distanza avrebbe potuto supplire ai problemi dell’isolamento. Ma anche, continua la ministra, con accordi tra scuole del Sud e del Nord in modo che le prime possano aiutare le secondo che certamente sono più svantaggiate. Dichiarazioni che sono macigni perché evidenziano come il Governo del Paese è consapevole delle differenze esistenti tra le varie parti.

Il fatto è che manca sempre una dichiarazione conclusiva quella che dovrebbe dire che faremo in modo che le differenze si eliminino. Invece si assiste alla messa in atto, anche da parte delle istituzioni, della carità pelosa di un Nord generoso che aiuta un Sud pezzente , dopo che le risorse sono state impunemente sottratte. Ma tornando alla didattica a distanza, in questo momento di forzata ed opportuna clausura, che si prevede non brevissima, é un modo per tenere i ragazzi impegnati e non far perdere loro mesi di formazione. L’esperienza diretta attuale di un corso a distanza nella mia università di appartenenza mi porta però ad alcune considerazioni. La prima è che il corso a distanza discrimina anche di più di quanto non faccia un corso normale, in base al reddito delle famiglie ed alle possibilità economiche di esse. La seconda che tale differenza è accentuata anche per aree territoriali.

Per quanto attiene al primo punto non si può dimenticare che vi sono molti elementi necessari per una didattica a distanza; come gli strumenti a disposizione dei partecipanti in termini di strumenti hardware e di linee a disposizione! Nel mio corso solo il 10% dei ragazzi ha anche, oltre ad uno strumento necessario pc o telefonino, anche la possibilità di collegarsi in video o in voce, per cui l’interazione diventa difficile. Non oso immaginare cosa può avvenire rispetto a ragazzi che vivono in condizioni disagiate nelle periferie urbane.

Altro aspetto è quello territoriale: è ovvio che avendo il Mezzogiorno un reddito pro capite che è meno della metà di quello del Centro Nord, come ci ricorda Svimez nei suoi rapporti annuali, è facile che tali strumenti siano ancor più limitati nelle aree più povere, contraddicendo i principi fondanti della nostra Costituzione, che prevede anche il diritto all’istruzione uguale per tutti. Quindi gli elementi normalmente discriminanti nella scuola per aree territoriali si accentuano ulteriormente in questo periodo: d’altra parte un indicatore interessante di quante differenze esistono in termini di diritto allo studio è quello della dispersione scolastica che sono i numeri di una disfatta: 21 per cento nel Lazio, un ragazzo su cinque; 23 per cento in Molise, quasi uno su quattro; 25,7 in Basilicata e 26,8 in Puglia. E poi: Campania (31,9), Calabria (33,1), Sicilia (37) e Sardegna (37,4).

Per l’Italia tale indicatore mostra un miglioramento nel tempo , attestandosi, per l’anno 2016, al 13,8%. Nel 2006 era al 20,8%. L’Italia si avvicina dunque all’obiettivo Europa 2020, al raggiungimento del livello del 10%. Dallo studio Invalsi sulla dispersione implicita ecco le due Italie.

Il dettaglio regionale evidenzia il divario fra Nord e Sud. Un andamento rispetto al quale si vuole rendere autonome alcune regioni, perché l’istruzione è uno dei settori che le regioni Lombardia e Veneto hanno chiesto nel pacchetto dell’autonomia differenziata, ovviamente avendo come retropensiero quello di tenersi parte del cosiddetto residuo fiscale. In modo che invece di avere una scuola di seria A e B ne avremo una di seria A e Z.

Quello che subdolamente è accaduto già nelle università , alcune delle quali sono state relegate a diventare super licei di formazione, mentre quelle del Nord a fare ricerca, secondo una serie di parametri che premiano quelle che sono nei territori più fortunati o anche sedicenti più bravi economicamente.

Il tema ritorna sempre analogo, un Paese che non ha capito che non può essere duale o si unifica socio-economicamente o non è.


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