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DUE crisi ravvicinate che rischiano di mandare al collasso un intero sistema economico e produttivo, non solo quello della Puglia ma di tutto il Mezzogiorno d’Italia. Le sorti dell’ex Ilva e di Banca Popolare di Bari tengono col fiato sospeso il Paese, basta dare un’occhiata ai numeri per capire gli effetti devastanti che i due bubboni pronti a scoppiare potrebbero avere: Bpb vanta 600mila clienti in tutta Italia ma prevalentemente concentrati al Sud, 70mila soci e ben 100mila aziende, a quest’ultime fa riferimento il 60% degli impieghi, circa 6 miliardi di euro. La Banca commissariata possiede quote significative di mercato, sia nella raccolta che negli impieghi, in Puglia, Basilicata e Abruzzo: Bankitalia stima una percentuale attorno al 10%.

LO SCENARIO

«Nell’ipotesi – scrive Banca d’Italia in un rapporto pubblicato ieri mattina – in cui si dovesse pervenire a uno scenario liquidatorio con rimborso dei depositanti (senza cessione di attività e passività ad un altro intermediario), le ricadute del dissesto sarebbero assai rilevanti, sia sul tessuto economico sia sul risparmio locale. La liquidazione implicherebbe innanzi tutto l’azzeramento del valore delle azioni che esacerberebbe il contenzioso legale con i soci, già elevato a motivo delle modalità di collocamento degli aumenti di capitale 2014-15 (550 milioni, quasi integralmente sottoscritti da clientela al dettaglio), ritenute dalla Consob non coerenti con la normativa sui servizi di investimento e da essa sanzionate. Subirebbero la stessa sorte anche i prestiti subordinati (290 milioni, di cui 220 milioni collocati a clientela al dettaglio) Sulla base di prime stime, verrebbero inoltre colpiti integralmente i creditori chirografari e i depositi eccedenti i 100.000 euro non riconducibili a famiglie e piccole imprese, con il rischio che siano colpiti, in quota parte, anche quelli superiori a 100.000 euro facenti capo a tali ultimi soggetti».

L’ACCIAIERIA

Questo lo scenario Bpb. Ora veniamo all’ex Ilva: oltre al rischio di 15mila posti di lavoro in fumo, l’impatto annuo sul Pil nazionale della chiusura dello stabilimento ex Ilva di Taranto è stimato, da uno studio Svimez, considerando gli effetti diretti, indiretti e indotti, in 3,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi concentrata al Sud, in Puglia, e i restanti 0,9 miliardi nel Centro-Nord, pari allo 0,2% del Pil italiano. Se consideriamo l’impatto sul Pil del Mezzogiorno si sale allo 0,7%. I numeri non lasciano spazio ad interpretazioni e non sono certamente rassicuranti. Tornando a Banca Popolare di Bari, il decreto legge approvato dal consiglio dei ministri domenica sera, che dà il via alla creazione di un grande istituto bancario del Sud, e il commissariamento hanno rasserenato le associazioni dei consumatori, che però chiedono un incontro ai commissari. Meno rassicurante è la relazione di Bankitalia: in caso di default, il «Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fidt) – si legge – dovrebbe effettuare rimborsi a favore dei depositanti protetti per un importo complessivo di euro 4,5 miliardi circa, a fronte di una dotazione finanziaria che a dicembre 2019 sarà paria 1,7 miliardi. Ciò implicherebbe l’esigenza di attivare integralmente il finanziamento per 2,75 miliardi sottoscritto nell’agosto 2019 dal Fitd con un pool di banche e finalizzato a fornire prontamente al Fondo risorse per i rimborsi.

Per la restituzione del finanziamento potrebbe essere necessario il ricorso a contribuzioni straordinarie a carico del sistema bancario, che determinerebbero perdite significative. La cessazione dell’attività della banca – scrive ancora Bankitalia implicherebbe il blocco dell’operatività con forte pregiudizio della continuità di finanziamento di famiglie e imprese; gli impatti sul territorio sarebbero considerevoli, anche alla luce della cospicua quota degli impieghi erogati dalla Bpb nelle regioni di insediamento (come detto, pari al 10%). Anche gli impatti occupazionali (circa 2.700 dipendenti) sarebbero rilevanti e difficilmente assorbibili dalla debole economia locale. La crisi della BPB potrebbe inoltre incrinare la fiducia dei depositanti di altre piccole banche locali, innescando un effetto contagio. Tutto ciò rende di fatto non praticabile una liquidazione dell’intermediario senza cessione di attività e passività; quest’ultima opzione richiede l’individuazione di una banca interessata ad acquisire il compendio aziendale e ciò potrebbe risultare particolarmente problematico a causa delle difficili condizioni economiche dell’area di insediamento e della situazione dell’azienda».

I CREDITI DETERIORATI

A giugno 2019, i crediti deteriorati ammontano al 38,7% del totale. Nel 2018, secondo quanto riferisce Bankitalia, si registra una accelerazione del deterioramento della situazione aziendale: il primo semestre si chiude con una perdita consolidata di circa 140 milioni (l’esercizio 2017 si era chiuso sostanzialmente in pareggio), dovuta alla svalutazione degli avviamenti e ad accantonamenti sulle principali esposizioni creditizie; i coefficienti patrimoniali diminuiscono al di sotto dei valori target fissati dalla Vigilanza. Con lettera del novembre 2018 la Banca d’Italia, nell’evidenziare l’inadeguatezza del percorso di ristrutturazione aziendale, invita gli organi aziendali a comunicare gli eventuali sviluppi nella ricerca di potenziali investitori nel capitale della Capogruppo ma il peggioramento del portafoglio creditizio e la sostanziale stasi operativa determinano la chiusura dell’esercizio 2018 con una perdita consolidata di 430 milioni. I coefficienti patrimoniali diminuiscono ulteriormente, attestandosi al di sotto della riserva di conservazione del capitale. Il perché si arrivi al commissariamento è spiegato con l’incapacità della nuova governace della Bpb di “adottare con sufficiente celerità ed efficacia le misure correttive” per il risanamento. L’evidenza emerge dall’ispezione partita a giugno scorso e conclusasi nei giorni scorsi. L’ispezione si concentra in una prima fase sul ricambio della governance, avvenuto a fine luglio, per poi passare all’analisi della qualità del credito.


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