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C’è una lunga e pericolosa marcia nel deserto, dall’esito a dir poco incerto, che attende chi voglia riprendere il cammino ed allontanarsi dalle paludi della povertà.

Ma bisogna mettersi in marcia subito per raggiungere chi non si è mai fermato (Germania) e chi ha fatto solo delle piccole soste (Danimarca ).

Si sto parlando di quella che ormai nel linguaggio comune si chiama ripartenza. Dopo un lungo periodo di lockdown, con ormai il ritardo solito che abbiano visto anche nella chiusura, si è avviato un confronto sulla possibile riapertura del Paese, sia per quanto attiene ai tempi, che alle aree ed ai modi. Credo sia l’ora di rimettersi in cammino ed il Mezzogiorno lo deve fare per primo. Per una serie di motivazione che giustificano tale decisione.

La prima riguarda l’andamento dell’epidemia sia in termini di contagi, di terapie intensive utilizzate che di decessi! La curva di tutte le regioni meridionali consente che nei prossimi giorni, con gradualità, prudenza, con tutti i presidi sanitari richiesti, con l’applicazione sugli smartphone, si possa ripartire.

La seconda motivazione per cui è possibile riguarda la capacità, dimostrata sul campo dalle regioni meridionali dalle più piccole alle tre maggiori, Campania , Sicilia e Puglia, di comportamenti virtuosi che hanno consentito il blocco dei focolai di origine settentrionale, malgrado la superficialità dei comportamenti nazionali come delle regioni più colpite e malgrado lo scippo perpetrato al loro sistema sanitario negli ultimi dieci anni.

Dalla struttura sanitaria di Napoli, probabilmente abituata più di altre a contrastare epidemie, non ultima quella del colera, a quella pugliese e siciliana messisi a disposizione delle regioni lombardo venete, trattando i pazienti ospitati tanto bene che un bergamasco guarito ha deciso di tatuarsi la Sicilia sul petto per ringraziare del trattamento ricevuto, mentre gli ospiti che sono stati in quarantena in un albergo a Palermo hanno dichiarato la loro sorpresa nel non ritrovare i luoghi comuni, dei quali sono stati imboniti dalla pubblicistica prevalente nelle loro zone, circa i meridionali pizzaioli e mandolinari e soprattutto inefficienti, impreparati e soprattutto sfaticati.

Dispiace a proposito che Fontana abbia ringraziato giustamente la Germania e si sia dimenticato delle regioni meridionali che si sono dimostrate accoglienti e solidali. Ma come i parenti poveri siamo abituati ad uno schiaffo al giorno e quando non arriva ci stupiamo.

La terza ragione riguarda l’interesse del Paese a che una parte si riapra, visto che, come ha calcolato Svimez, per ogni mese di chiusura il Mezzogiorno perde 10 miliardi, considerato che vi sono le condizioni è utile a tutto il Paese, perché lo “show must go on”.

Potremo così dare meno redditi di cittadinanza e si dovranno distribuire meno risorse per la sopravvivenza di molte attività, perlomeno al Sud. Non solo ma nella logica della ripartenza si potrebbe pensare anche a differenziare l’immagine delle due Italie, una molto più colpita dell’altra, come è vero, per non perdere totalmente la stagione estiva turistica!

Vi sono siti archeologici, isole, località che in sicurezza possono aprire, soprattutto se a breve arriveremo al contagio zero e si sarà capaci di spegnere i focolai che, è facile prevedere, si riaccenderanno qua e là nel territorio. Ma per far questo bisogna diversificare le immagini e dare al mondo il messaggio che una parte del Paese è rimasta indenne dal coronavirus. Facciamo ripartire una parte importante e aspettiamo che l’altra possa arrivare a quei dati che permettano di ricominciare in sicurezza!

E a Carlo Bonomi, neo presidente in attesa di conferma di Confindustria, si chiede un pensiero originale e laterale. Cercando di immaginare un futuro che conviva con il Covid 19. Ripensare alle delocalizzazioni, alcune delle quali potrebbero avere dei problemi se rimanessero nelle realtà cinesi o dell’Est europeo, considerate le difficoltà di movimento di persone e merci.

Forse con tutti i dubbi possibili si potrebbero consigliare localizzazioni diverse nel Sud del Paese, che abbondano e forse non ce ne siano mai accorti, tranne che per produzioni inquinanti, di localizzazioni interessanti, di personale formato, come si è visto dall’esodo avutosi, non appena il sistema industriale settentrionale ha chiuso. Nessuno pensa che tutto ciò sia semplice né facile, le difficoltà sono enormi, ma approfittare di un momento come questo per affrontare due problemi insieme non sarebbe sbagliato!

Da un lato fornire una soluzione a problematiche nuove, dall’altro cercare di affrontare la problematica divari che affossa un Paese, che si confronta con una realtà iper sviluppata, con un livello di inquinamento che pare abbia avuto ruolo nel diffondersi dell’epidemia, e con un’altra che invece stenta a dare il suo contributo allo sviluppo non essendo più nemmeno mercato per il ricco Nord, con un reddito pro capite di un terzo. Paese che ha dimostrato tutta la fragilità di una idea di sviluppo impari e pericoloso.

Per questo il sistema industriale ed il terziario del Nord dovrebbero ripensare anche a forme di delocalizzazioni del loro sistema produttivo! Vi sono migliaia di capannoni abbandonati nel Sud che potrebbero essere utilizzati.

Perché se alcune aziende della confezione Italia si sono riconvertite a produrre mascherine non si può pensare, anche indirizzando le risorse che dovranno essere destinate alle imprese per il salvagente finanziario dovuto, per provare a rendere il Paese più forte, rafforzando la seconda locomotiva che dovrebbe essere quella del Sud, in un momento in cui stanno partendo le ZES, che potrebbero fornire vantaggi non indifferenti a chi può spostare ,ovviamente in parte, la produzione! Nessuno sottovaluta le difficoltà di tale eventuale approccio, in termini di impianti, addetti, specializzazioni, siti attrezzati e filiere integrate.

Ma uno sforzo per cambiare strategia forse andrebbe fatto, piuttosto che pensare all’abolizione della recente clausola del 34% o all’utilizzazione dei fondi strutturali come bancomat per le esigenze di cassa integrazione in deroga. Tale approccio potrebbe essere valido anche per alcuni eventi importanti. La Germania ha annullato l’Octoberfest.

Bene in settembre vi sono eventi importanti come la mostra del cinema di Venezia, piuttosto che alcune fiere settoriali.

La mostra se deve essere annullata potrebbe forse potrebbe svolgersi a Taormina, mentre le grandi fiere milanesi potrebbero chiedere ospitalità a Napoli, Bari o Palermo. Già vedo la levata di scudi dei benpensanti meneghini che non si sposterebbero da Rho a Bergamo, ma forse cominciare a riflettere a cambiamenti di approccio potrebbe essere utile anche alla commissione Colao. Mentre sembra incredibile che ancora, malgrado la maggior parte del Paese ha capito che le Regioni, in alcuni settori strategici come sanità e formazione, devono fare passi indietro c’è ancora qualcuno che pensa ancora ad autonomie differenziate, ormai improponibili.


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