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L'ospedale di Alba Bra

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Per fare un ospedale in Piemonte non sono bastati 15 anni. Stiamo parlando di una gigantesca struttura pensata 23 anni fa, iniziata nel 2006 e non ancora completata. Siamo a Verduno, nelle Langhe, tra il Comune di Alba e Bra, territorio della Asl Cn2, in tutto 76 Comuni. Costata centinaia di milioni è stata parzialmente inaugurata in tutta fretta solo tre giorni fa per far fronte alla madre di tutte le emergenze. La pandemia.

Corridoi deserti, piani disabitati, nastro isolante sui vetri, scatoloni di cartone ammucchiati. La situazione era questa. C’è voluta quella che Carlo Emilio Gadda chiamerebbe la cognizione del dolore perché il nosocomio di Alba-Bra aprisse le porte ai malati di Corona virus: 33 camere e 12 posti di terapia intensiva e sub intensiva ricavati in extremis togliendo la polvere alle pareti e il cellophane agli armadi, facendosi largo in un’ala semi vuota dell’edificio. Senza il Codiv-19 sarebbe finita forse come le altre volte. Con le promesse sciolte nell’aria, l’inaugurazione slittata a tempo indeterminato, le 25 aziende e i 300 addetti ancora al lavoro.

IL PRIMATO DEL DEFICIT

Perché parliamo di questo ospedale? Perché dinanzi all’ostinata inclinazione a localizzare la malasanità sempre e solo in certe aree geografiche – vero, Massimo Giletti? – può giovare in momenti così drammatici ricostruire certe vicende. Per non ripetere gli stessi errori, per non rappresentare il Paese sempre allo stesso modo, secondo logori e stereotipati cliché.

Sotto tiro finiscono sempre gli ospedali del Mezzogiorno, saccheggiati dai tagli, svuotati di personale e spesso – non ha senso negarlo – affidati a gestioni improbabili. Ma c’è una forma di autolesionismo, una sorta di suicidio sociale, che accomuna tutte regioni italiane, da Nord a Sud. A Mottola, nel cantiere infinito dell’Umberto I, in provincia di Taranto. Nelle Langhe, in provincia di Cuneo.

In Piemonte è più grave: per la Corte dei conti la regione del Dolcetto e del Nebiolo detiene infatti il primato del deficit sanitario, nonostante ogni cittadino costi allo Stato 44,1 euro annue pro-capite contro i 15,9 dei calabresi. Il triplo. Per trovare l’ultimo scandalo è sufficiente andare al dicembre scorso, al vercellese Roberto Rosso, assessore regionale piemontese alla Legalità, arrestato dalla Gdf per voto di scambio politico mafioso.

LA FABBRICA DI S. PIETRO COSTO: 232 MILIONI DI EURO

Per la gestione della Basilica vaticana fu creata ad hoc la Reverenda sancti padri, un ente ancora operante. Ad Alba-Bra tutto fa capo ad una Fondazione ma si viaggia nella stessa dilatazione temporale. La palla che Oltre Tevere passava da un pontefice all’altro, qui è rimbalzata tra governatori, non importa di quale partito. L’elemento di continuità è l’aumento dei costi. Fino a raggiungere la cifra monstre di 232 milioni di euro, un’idrovora che ha prosciugato risorse statali e regionali. Per poter aprire il nosocomio è stato però necessario raccogliere altri 25 milioni di euro. Acquistare strumentazione e arredamenti, siringhe e coperte.

Nel film Fitzcarraldo, scritto e diretto da Werner Herzog, il protagonista, un magnate della gomma, smontò la sua nave e per ricostruirla sull’altra sponda spianò una collina. La scena madre è la prua che sbuca al seguito di un caterpillar. A Verduno siamo andati oltre. Ci sono volute tonnellate e tonnellate di cemento per evitare che il terreno franasse. E tutto senza che nessuno, neanche il più irrequieto dei No Tav impegnati a contrastare la Torino-Lione, alzasse un dito.

Alta velocità e lentezza possono convivere. Due eccessi che in Piemonte si muovono in dissolvenza. Nella terra del tartufo qualcuno aveva fiutato sin dall’inizio l’affare del secolo. Il progetto preliminare risale al secolo scorso: anno 1997, definitivo nel 2001, esecutivo nel 2004, anno in cui fu pubblicato il bando di gara per la realizzazione dell’opera: 302 mila metri quadrati. Quando fu acquistato era diviso in 54 lotti, tra 200 proprietari, tra i quali, ma solo in minima parte, meno del decimo, la Curia vescovile.

PAZIENTI IN CABINOVIA, SVENTATO IL PROGETTO

Il nodo più difficile da sciogliere, 20 anni anni fa, fu la viabilità. Lo è tuttora. Serviranno non meno di 20 milioni per adeguare la Streda provinciale 7, per reggere il traffico verso l’ospedale: 5.000 auto in più al giorno. L’autostrada Asti-Cuneo è di là da venire. Nessuno avrebbe immaginato che per costruire l’immenso multi-edificio sarebbero serviti quasi 20 anni. E in attesa dell’autostrada non si è creata una strada alternativa d’accesso. Un cantiere immenso e irraggiungibile. Non poteva non attirare grandi appetiti. Opere compensative, tunnel autostradali, progetti faraonici per ovviare all’isolamento, al rischio di realizzare una cattedrale di cemento su una collina friabile. Una struttura eco-insostenibile che ha comportato lo smantellamento di piccoli e grandi ospedali, invasiva per stessa ammissione di chi l’ha realizzata, «un concentratore di traffico, un divoratore di energia, un produttore di rifiuti». Qualcuno tre anni fa propose di realizzare una cabinovia, era prevista la stazione di partenza a fondovalle. Italia Nostra bocciò il progetto. Altrimenti avremmo visto risalite delle barelle con i malati, pazienti guariti scendere con medici e infermieri dalla collina. Altro che Herzog.


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