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Quelle che sembrano incertezze del governo Conte in realtà sono i prezzi della democrazia. Nelle dittature le classi dirigenti, pseudo democraticamente elette, hanno la possibilità di prendere delle decisioni con grande tempestività, senza tener conto delle reazioni della cosiddetta società civile, rappresentata dai movimenti, dai partiti politici, dall’associazionismo, dai media con i quali invece bisogna confrontarsi.

LA CONSAPEVOLEZZA

Nelle democrazie rappresentative, al di là delle capacità del governi, che certo hanno la loro importanza, bisogna che la popolazione si renda conto delle esigenze, in questo caso, sanitarie, prima di poter agire. Per questo la richiesta che il nostro direttore fa di un “gabinetto di guerra” ha il senso del ripristino della catena di comando, senza troppo concedere alle concertazioni, utili in tempo di pace, ma che ritardano ogni forma di decisione. Cioè di superare l’esigenza di far capire e invece di seguire, cercare di anticipare le richieste dei territori.

Ma ormai mi pare che finalmente i “terrapiattisti” e “no vax”, (nel nostro caso non c’è una epidemia), fino a qualche giorno fa molto numerosi e comprendenti anche leader politici come Zingaretti e Sala, od opinionisti come Sgarbi, ora sono diventati sempre meno. Ci si è resi conto che siamo in guerra.

In guerra contro un nemico subdolo e invisibile. Che tra le sue armi ha anche quello di non essere creduto nella sua dimensione di pericolosità. E infatti, dopo aver fregato la Cina, l’Italia, la Corea, ora viene preso sottogamba da Francia, Germania e Spagna e da tutta l’Europa, oltre che dagli Usa, che presto, è facile prevederlo, diventeranno anche essi “zona protetta” come vengono definiti adesso i Paesi infettati.

OCCASIONE PROPIZIA

Presto le misure emergenziali saranno ulteriormente appesantite e inasprite come da richieste del presidente della Regione Lombardia, Fontana, facendoci capire che solo coloro che vedono con i propri occhi le difficoltà del sistema sanitario, oltre che l’aumento esponenziale dei casi, che non sono numeri ma persone che hanno problemi sanitari seri, possono capire e dare il messaggio giusto.

Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, dice giustamente “facciamo finta di anticipare Ferragosto”. Quest’anno questo mese di marzo sarà il nostro Ferragosto di lacrime e sangue. Non consentiamo al Covid 19 di andare da fiore in fiore, lasciando sul suo percorso morti e feriti. Togliamogli le persone su cui posarsi, perché è un nano e al massimo riesce a saltare un metro. Se stiamo a più distanza lo freghiamo noi. E cadendo a terra non può più proliferare.

Ma al di là del contingente, l’occasione è propizia per una riflessione sulla idea Paese che deve venire fuori dallo tsunami, dal quale, se saremo bravi e rispetteremo le indicazioni del nostro governo, usciremo presto. Dopo le indicazioni sempre più stringenti del governo e la consapevolezza del problema che, finalmente era ora, sta diventando diffusa, la situazione dovrà per forza migliorare.

NULLA PIÙ COME PRIMA

Ma nulla potrà e dovrà essere più come prima. Non si pensi di continuare come se nulla fosse accaduto. Il primo tema sarà quello di tornare indietro, rispetto all’idea di 20 piccoli staterelli, con un governatore che pensa di essere il gestore del mondo, tranne poi, nel momento della tragedia, chiedere aiuto al governo centrale, all’Europa, all’universo mondo. Che poi è costretto a scoprire di essere una piccola provincia che può essere messa in ginocchio con estrema facilità.

Parlo dei Fontana e degli Zaia, incapaci di gestire anche una minima comunicazione, scivolando sulle mascherine e sui topi che i cinesi mangerebbero crudi. Ma il discorso potrebbe essere generalizzato. Il nostro Paese, e a maggior ragione tutto il Sud, ha bisogno di centralismo, ha bisogno della sostituzione dei poteri laddove i poteri delegati (Regioni, Province, Comuni) non riescono ad attuare nei tempi previsti i programmi infrastrutturali, sociali ed economici previsti.

Un centralismo che preveda che laddove anche lo Stato centrale non sia in condizione di rispettare tempi e obiettivi nei tempi dovuti, veda l’intervento della Commissione europea che, come ben sa fare quando non si rispettano i parametri economico-finanziari, inizi delle procedure di infrazione che mettano al centro anche i divari tra le diverse parti dell’Unione. Perché è chiaro che l’eliminazione dei divari è fondamentale perché l’Europa non venga distrutta dai movimenti sovranisti e nazionalisti, che trovano terreno fertile nelle emarginazioni dovute alle tante povertà socio economiche culturali.
Collegato al primo, il tema dello sviluppo del Paese che non può più essere duale. Capire finalmente che sviluppare il Sud è interesse di tutti, perché un mercato di consumo importante come il Mezzogiorno è una riserva troppo importante per poterla distruggere, come si è fatto negli ultimi anni e come dice nei propri documenti la Svimez.

Dall’altra parte convincersi che avere due locomotive, invece che una e dei vagoni da trasportare, una davanti e una in fondo, consente di andare in tutte e due le direzioni, senza bisogno di operazioni complicate nel caso si voglia cambiare il senso di marcia. Potendo il Paese contare su una forza doppia per competere con i partner europei, oltre che per dare più forza all’Unione.

GLI INTERESSI COMUNI

Ma perché ciò avvenga è necessario investire risorse importanti, come ha fatto saggiamente la Germania sull’ex Ddr. Significa collegare Augusta e Palermo con l’alta velocità/capacità ferroviaria a Berlino, significa mettere in relazione i dieci milioni di abitanti di Puglia e Campania con la Napoli Bari, non tra dieci anni, ma domani.

Come gli interventi per il coronavirus, anche quelli sul Mezzogiorno o avvengono in tempi adeguati o non servono. Il tempo non è una variabile indipendente. E se le classi dominanti estrattive del Mezzogiorno dovessero fare ostruzionismo vedendo minacciati i loro privilegi, sarà una catena di comando seria che dovrà superare gli interessi particolari per un interesse comune, che è quello di tutto il Paese.


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