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GLI anni passano ma il consiglio resta sempre lo stesso: se vi ammalate fatelo al Nord. Possibilmente in Veneto o se preferite in Emilia-Romagna. Lo dice la classifica – anticipata dal Sole 24 ore – stilata in base alle indicazioni delle stesse regioni. Peccato che si tratti di una graduatoria truccata. Non tiene conto degli stanziamenti e dei bilanci, certificati uno per uno dalla Corte dei conti e documentati più volte da questo giornale.

Uno su tutti: le regioni del Mezzogiorno messe insieme hanno speso per assunzione e gestione del personale 7 miliardi di euro. Nello stesso anno, cioè il 2018, le prime 5 regioni classificate hanno bruciato 15 miliardi, più del doppio. Un vizio di forma che è anche sostanza. Nei criteri di ripartizione dei fondi stanziati per la sanità, tanto per fare un esempio, si tiene conto dell’età e del sesso ma non del numero degli abitanti. Risultato: l’Emilia-Romagna, negli ultimi 13 anni, ha ricevuto 3 miliardi in più della Puglia a parità di popolazione. Un disequilibrio che grida vendetta. Dove ci sono i soldi i livelli di assistenza sanitaria restano alti, così in Piemonte, Toscana, Lombardia e Umbria. Personale, attrezzature, risorse. La sanità funziona. E se scendete verso il tallone lo fate a vostro rischio e pericolo. Nel profondo e selvaggio Sud, se proprio non riuscite a evitarlo, concedetevi un raffreddore. Roba da aspirina, latte caldo, miele, una dormita e passa la paura. Se sale la febbre sono guai.

OMESSO SOCCORSO

Ma torniamo alla classifica, una graduatoria ancora ufficiosa, che non si discosterà molto da quella che il ministero della Salute presto renderà pubblica. Una griglia ben definita misura ricoveri, assistenza, prevenzione in base a 33 indicatori, suddivisi a loro volta in 3 macro-categorie. Da qualche giorno le regioni italiane hanno comunicato al Comitato-Lea, la commissione che valuta i livelli essenziali di assistenza – previsti dalla nostra Costituzione – i punteggi relativi al 2018. Tutte, nessuna esclusa, anche quelle ancora commissariate e vincolate al piano di rientro, hanno fatto qualche passo avanti. La distanza tra le prime e le ultime però non si è ridotta, anzi resta bissale. Fotografa due paesi. Nel primo quando ci si ammala si trovano cure adeguate. Nell’altro le cure sono appena sopra la soglia del mancato soccorso (160 punti).

IL PUNTEGGIO

Stabilito un punteggio massimo di 225 punti, la regione veneta governata da Luca Zaia ha le migliori prestazioni, è prima con 222, dopo Emilia-Romagna, 221, Toscana 220, Piemonte, 218, Liguria, 211 e Umbria, 210. In zona “retrocessione” restano sempre le stesse regioni: Puglia, Molise, Sicilia, Campania e Calabria. Galleggiano a centro classifica Lazio, 190, Basilicata, 191, Marche, 2016 e Abruzzo, 209. Le regioni e le province autonome non sono sottoposte a meccanismi di verifica dei Lea.

NUOVI CRITERI

C’è da dire che la Campania, ad onor del vero, ha fatto passi da gigante. Nel 2012 era il fanalino di coda con appena 112 punti. Un disastro. Pian piano, nonostante l’orrore della signora intubata, deceduta e ricoperta dalle formiche all’ospedale san Giovanni Bosco di Napoli l’estate scorsa, ha risalito la china toccando i 170 punti. Un mezzo miracolo che nel dicembre scorso ha consentito alla regione governata da Vincenzo De Luca di uscire dal commissariamento. Il piatto piange, Ma le performance in continua crescita di quasi tutte le regioni del Mezzogiorno smentiscono la vulgata corrente- Confermano il teorema di fondo: per risanare la sanità non basta ridurre gli sprechi, moltiplicare i tagli, ma un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse. Più volte in passato sono stati messi in discussione i criteri che determinano la classifica Lea. La fondazione Gimbe, in particolare, non ha risparmiato critiche alla griglia ritenendola ormai appiattita e inadeguata per verificare la reale erogazione di prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini.

PATTO PER LA SALUTE

Il Patto per la salute presentato un mese fa dal ministro Roberto Speranza ha raccolto molte di queste osservazioni elaborando un nuovo comun denominatore, classificato con l’acronimo Nsg. Sta per «Nuovo sistema di garanzia». Si fonda su un nuovo meccanismo di monitoraggio dei Lea: 88 indicatori, 16 per la prevenzione collettiva, 33 per l’assistenza distrettuale, 24 per l’assistenza ospedaliera, 4 per la stima del fabbisogno sanitario, 1 per l’equità sociale, 10 per i percorsi diagnostici e terapeutici. Verrà data più rilevanza alle patologie, in estrema sintesi. Ma il male cronico del Sud resta sempre lo stesso: la non equa distribuzione delle risorse.


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