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La macchina della Sanità veneta adesso si sta muovendo a pieno regime per fronteggiare l’emergenza Coronavirus che in provincia di Padova ha fatto la prima vittima venerdì scorso e che conta già 42 contagiati, ricoverati in diverse strutture sanitarie. Il governatore Luca Zaia dichiara: “Non riesco più a dormire”. Infatti, tra le autorità pubbliche è sicuramente il più presente, anche nelle trasmissioni televisive e nei notiziari, per spiegare ciò che la Regione Veneto sta facendo. L’impressione è che la macchina si sia messa in moto un po’ in ritardo e che qualche falla ci sia stata. In fondo, le parole del premier Conte sembravano dirette a un ospedale lombardo, ma possono riguardare anche il Veneto dove si trova (a Vo’ Euganeo), uno dei focolai tenuti sotto osservazione e dove è stato addirittura chiuso l’ospedale di Schiavonia, a Monselice.

Nel viaggio per capire che cosa non abbia funzionato nella sanità veneta, il punto di partenza è proprio Schiavonia, perché li ci sono stati i primi due ricoveri di persone infette, una delle quali è deceduta. Entrambe provenivano da Vo’ Euganeo e, oltre ad altre patologie, presentavano i sintomi dell’influenza. La malattia si è improvvisamente aggravata la scorsa settimana e il più anziano dei due pazienti non ce l’ha fatta. Possibile che nessuno abbia pensato di sottoporre i pazienti ai test?

Una drammatica conferma di quanto avvenuto a Schiavonia dove ieri sera è deceduta un’anziana ricoverata da alcune settimane. Soltanto dopo la morte sono state effettuate le analisi che sono state positive. Anche in questo caso nessuno se ne era accorto. Così la donna ha avuto contatti con infermieri e altri pazienti, Una nuova falla nel sistema di prevenzione del Veneto.

Il 28 febbraio, l’assessore veneto alla sanità, Manuela Lanzarin, aveva inviato un comunicato con cui dichiarava che tutto era pronto per affrontare l’eventuale manifestarsi di patologie in Regione. Aveva parlato di una task-force composta da presidi territoriali, medici di base, laboratori di analisi e privati. Tre settimane e mezzo dopo si è scoperto che i malati c’erano, ma nessuno se ne era accorto. Al di là del comunicato-stampa, viene il sospetto che la task-force non sia stata attivata.

Che non tutto abbia funzionato, lo ha dichiarato anche il segretario nazionale del sindacato Anaao-Assomed Carlo Palermo. “Il fatto che siano stati chiusi l’ospedale di Codogno, quello di Schiavonia e che ci sia stato un dermatologo del Policlinico di Milano contagiato, significa che la fase ospedaliera non è stata curata abbastanza: nei reparti sono entrati soggetti infettati. Adesso è urgente rendersi conto degli errori fatti perché tutte le Regioni si facciano trovare preparate”. Schiavonia viene progressivamente svuotato, per poi essere sanificato. Una misura drastica, con controlli sul personale e sui pazienti alla ricerca di altri casi di positività. . “In quelle circostanze è stata gestita male la fase ospedaliera. – ha commentato Palermo – Il pre-triage (il controllo all’ingresso ndr) non è riuscito a individuare per tempo i casi e si è intervenuti troppo tardi”. Infatti anche nell’ospedale di Dolo si sono registrati tre sanitari e quattro pazienti che potrebbero essere infetti.

Il segno dell’impreparazione è quanto accaduto a Vo’, il paese focolaio del Coronavirus. La gente è stata convocata nelle scuole pubbliche per sottoporsi ai test. Ma i tamponi scarseggiano e la popolazione è rimasta in fila per ore senza indicazioni. Quasi tutti indossavano la mascherina. I primi 200 numeri per prenotare la chiamata al test sono terminati in un attimo e molte persone hanno dovuto ritornare a casa rimandando l’appuntamento con il tampone. Chi si è ripresentato ha scoperto che i tamponi erano terminati.

Ma c’è anche una denuncia politica circostanziata. Viene dai Cinquestelle. Hanno scoperto una lettera scritta dal direttore generale dell’Area sanità e sociale della Regione Veneto che ha messo in imbarazzo la giunta di Luca Zaia. L’11 febbraio il super-drigente Domenico Mantoan, che è anche a capo dell’Agenzia nazionale del farmaco, aveva scritto al direttore generale dell’azienda ospedaliera di Padova, Luciano Flor, e al professore Andrea Crisanti, direttore dell’Unità di microbiologia e virologia. Questa Unità stava valutando “di estendere i controlli microbiologici anche ai soggetti asintomatici provenienti dalla Cina”. Molti chiedevano di essere analizzati.

Mantoan aveva scritto che “il coordinamento centrale di ogni azione è l’elemento imprescindibile per la corretta risposta all’emergenza” e che “ogni spesa associata alle prestazioni in argomento, su soggetti asintomatici, non rientra tra le prestazioni coperte dal fondo del Sistema Sanitario Nazionale”. Un vero stop. Jacopo Berti, capogruppo Cinquestelle in Regione: “Si trattava di uno scrupolo in più rispetto a quanto previsto dalla circolare del Ministero, ma Mantoan invece di raccogliere l’allarme inviava su carta intestata della Giunta regionale una lettera dai toni minacciosi con la quale vietava all’Asl di procedere con i controlli. La propaganda non la facciamo noi, ma chi mentre i veneti si ammalano e muoiono, continua a dire di aver fatto tutto quanto era necessario mentre invece ostacolava chi voleva proteggere più possibile i cittadini”.
Mantoan si è difeso sostenendo di aver applicato le direttive del Ministero.


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