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LA battaglia contro il coronavirus si sta combattendo soprattutto nelle terapie intensive e nei reparti di malattie infettive, unità operative che – a differenza di altre specialità – non hanno subito negli ultimi 20 anni tagli e ridimensionamenti in Italia, ma c’è un’anomalia che, adesso, mette a rischio il Sud del Paese.

Come in altri ambiti, il Mezzogiorno paga pegno, penalizzato da politiche nazionali che hanno spaccato in due l’Italia. Basta dare uno sguardo ai dati del ministero della Salute, anno 2018, per rendersi conto del divario che è stato creato tra due aree dello stesso Paese: in Puglia, ogni 100mila abitanti ci sono 7,92 posti nelle terapie intensive, in Sardegna 7,5, in Sicilia 7,84, in Calabria 7,85, in Basilicata 8,7 e in Campania 8,72. Le Regioni del Sud occupano quasi tutte le ultime posizioni, in testa alla graduatoria ci sono soprattutto Regioni del Centro-Nord: spicca la Liguria con 11,99 posti letto di terapia intensiva ogni 100mila residenti, segue il Friuli Venezia Giulia (10,45), al quarto posto c’è la Toscana (10,1), l’Emila Romagna (10,06), Valle d’Aosta (9,54), Veneto (9,37). Le uniche due eccezioni sono rappresentante dal Molise che ha una dotazione di 10,14 posti letto ogni 100mila abitanti e la Lombardia che ne conta solamente 8,53.

Però, attenzione, i dati ministeriali si riferiscono alle strutture pubbliche e in Lombardia a farla da padrone è soprattutto la sanità privata. Ecco perché se il virus dovesse “sfondare” al Sud come avvenuto in Lombardia, ad esempio, sarebbe una catastrofe: i sistemi sanitari regionali non sarebbero pronti a fronteggiare una epidemia di dimensioni pari a quella lombarda. Non sarebbero sufficienti posti letto, personale e ospedali.

L’emergenza Covid-19 ha portato l’Italia a correre ai ripari, con un aumento dei posti letto nelle rianimazioni, ma anche in questo caso è in particolare al Nord che si stanno attivando più unità: il Veneto ha aggiunto 338 posti letto alla sua dotazione iniziale, la Lombardia 208, il Piemonte 160, l’Emilia Romagna 80.

E al Sud? Aggiungere posti letto non sarebbe nemmeno un problema, il vero ostacolo è rappresentato dai ventilatori per la respirazione assistita, quelli mancano: la Puglia, ad esempio, è riuscita a trovare 500 ventilatori ma per attivare posti letto aggiuntivi ne ha bisogno almeno di altri 220. La Campania, al momento, è riuscita ad aggiungere altri 80 posti, le altre sono in difficoltà. Oltre ad una carenza strutturale riferita alle rianimazioni, è tutto il comparto sanitario del Mezzogiorno a soffrire: nel 2016, fonte sempre ministero della Salute, il tasso medio dei posti letto negli ospedali in Italia era 2,65 ogni mille abitanti, le Regioni che sono sopra questo rapporto sono quelle del Nord.

Un esempio su tutti è il Friuli che ha un tasso di posti letto che è addirittura quasi il doppio rispetto alla media nazionale: 5,02 posti letto ogni mille abitanti. All’estremo opposto c’è la Calabria che ha appena 1,95 posti letto ogni mille abitanti. In mezzo, si può dire, c’è l’Emilia Romagna, l’unica Regione che ha aumentato, anche se di pochissimo, il tasso dei posti letto portandolo a 3,14 dal precedente 3,13. Ma dopo la Calabria c’è il Molise (2,16), seguono la Campania (2,32 unità ogni mille residenti), la Sicilia e Piemonte (2,40, unico caso di regione del Nord con bassa percentuale), quindi Basilicata (2,42), Abruzzo (2,44) e Puglia (2,54). Tutte sotto la media nazionale che è di 2,65 posti letto ogni mille abitanti.

Il numero di posti letto totali in Italia, oltre ad essere al di sotto della media dei Paesi Ocse (4,7), è calato del 30% dal 2000 al 2017: il Sud è, praticamente, il fanalino di coda. I reparti per farli funzionare hanno bisogno ovviamente di personale e anche sui dipendenti il Mezzogiorno deve fare le nozze con i fichi secchi. Il divario è netto: al Nord, per ogni mille abitanti ci sono 12,1 dipendenti nel comparto sanità, medici e infermieri, ma anche tecnici di laboratorio, amministrativi, operatori socio sanitari. Al Sud la media si abbassa drasticamente, sino a 9,2 dipendenti ogni mille residenti. Se la Puglia avesse avuto le stesse risorse dell’Emilia Romagna e avesse, quindi, potuto mantenere lo stesso rapporto dipendenti/residenti, oggi avrebbe 16.662 medici, infermieri in più.

O ancora: sapete qual è il divario negli organici tra Puglia e Toscana? Oltre 19.500 dipendenti in più in favore di quest’ultima. E tra la Puglia e il Veneto? Nella regione di Zaia sono impiegati, solamente nel settore sanitario, 13.441 lavoratori in più. Se invece prendiamo in considerazione il Piemonte, la differenza è di oltre 15mila dipendenti. Esaminando i dati delle singole regioni emerge ancor più chiaramente il divario: la Valle d’Aosta può contare su un rapporto di 17,5 dipendenti ogni mille abitanti, il Friuli Venezia Giulia di 16,2 lavoratori ogni mille abitanti, seguono Liguria (15,2), Toscana (13,7), Sardegna (13,5), Emilia Romagna (13), Piemonte (12,6), Umbria (12,6), Marche (12,5). Per trovare la prima regione del Mezzogiorno bisogna scendere sino al 12° posto: lì c’è la Basilicata che, con un rapporto di 12,4 dipendenti ogni mille residenti, è l’unica del Sud sopra la media nazionale (10,8), davanti al Veneto (12,2).

Le altre regioni del Mezzogiorno devono fare le nozze con i fichi secchi: il Molise ha un rapporto di 9,9 lavoratori per ogni mille abitanti, seguono Calabria (9,6), Puglia (8,9), Sicilia (8,8), Lazio (7,9) e infine Campania, con soli 7,8 dipendenti ogni mille abitanti. Il risultato di anni di definanziamento della sanità del Sud: basti pensare che dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno.

Tradotto in euro, significa che, prendendo in considerazione solamente gli anni dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più.


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