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I militari portano via le bare dei pazienti deceduti

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Pompe funebri, medici e professori universitari. Tutti hanno in comune il sospetto che il Covid19 sia arrivato in Italia prima del 2020. E soprattutto in Lombardia. «Non ho mai lavorato così tanto come lo scorso autunno» afferma Stefano Turati, titolare di una storica aziende di pompe funebri milanese, a proposito dell’ultimo trimestre 2019: nei mesi da settembre a dicembre la sua impresa ha letteralmente raddoppiato i ritmi di lavoro.

Un incremento mai registrato con questi numeri e per un periodo così lungo che gli ha suscitato il dubbio che il problema potesse risalire a prima dell’allarme Coronavirus.

Allo stesso tempo secondo l’agenzia Reuters anche alcuni ricercatori italiani stanno indagando per capire se il numero insolitamente alto di casi di grave polmonite e influenza registrati in Lombardia nell’ultimo trimestre del 2019 possa indicare che il nuovo coronavirus fosse arrivato dalla Cina prima di quanto originariamente pensato. Brescia, Mantova, Crema, Gera D’Adda e altri comuni hanno infatti registrato picchi di polmoniti inusuali già l’anno scorso.

Adriano Decarli, epidemiologo dell’università Statale di Milano, ha detto a Reuters di non poter fornire dati esatti, ma negli ultimi tre mesi del 2019 sono stati registrati “centinaia” di ricoveri in ospedale in più rispetto alla norma nelle due città, due dei maggiori focolai dell’epidemia in Lombardia. I ricoverati mostravano sintomi compatibili con polmonite e influenza. I ricercatori – ha spiegato Decarli – stanno controllando i registri ospedalieri e altri dettagli clinici di quei casi, includendo anche persone morte poi nelle loro case, per cercare di comprendere se l’epidemia di coronavirus si era già diffusa allora in Italia.

Un’indagine che sarà lunga vista l’emergenza in corso e i cui risultati arriveranno forse prima del vaccino. Intanto anche dalle zone colpite alcuni casi particolari erano stati segnalati anche dai medici di base, come confermato da Mirko Tassinari, responsabile per Bergamo della Federazione italiana medici di famiglia. Alcuni suoi colleghi avevano segnalato infatti casi di polmoniti fuori dall’ordinario. «Da medico – precisa Tassinari – dico però che mi sembra strano che si possano ricongiungere i due fenomeni: la virulenza dimostrata dal Covid19 quando sono esplosi i focolai di Codogno e Bergamo è stata molto più alta, forse, ma non sono un esperto del tema, c’è stata una mutazione del virus».

Anche alcune prime rilevazioni sembrano ricondurre la maggior parte dei focolai, compresi quelli nella zona di Brescia e Mantova, a un genere diverso di polmonite causata spesso dal batterio della Legionella, ma da Regione e altri enti territoriali non risultano al momento indagini epidemiologiche complete. Dubbi e sospetti si sommano in un momento in cui anche sui dati ufficiali dell’epidemia in pochi riescono a vederci chiaro. Il fatto poi che i primi contagi e focolai mondiali noti siano quelli cinesi non aiuta perché la Cina non gode di grande fama a livello internazionale.

L’unica soluzione potrebbe essere effettuare una serie di analisi sugli scomparsi di quel periodo, come suggerito da altri esperti internazionali: Paul Hunter, professore di medicina all’Università di East Anglia nel Regno Unito, ha detto che a meno che gli scienziati italiani non ottengano risultati positivi dai campioni presi e conservati allora, l’ipotesi non dovrebbe essere considerata perché al momento pare improbabile. Un dubbio che potrebbe essere risolto con delle analisi che però non si sa se si riuscirebbero a svolgere ora: la Lombardia già non riesce a uscire del tutto dalla fase emergenziale e ancora in tantissimi lamentano di non aver potuto ottenere un tampone, nonostante i sintomi da Covid19.

L’unico metodo sicuro è rivolgersi alla sanità privata che al prezzo di 120 euro fornisce rapidamente e a chiunque il tampone, però in periodo di non lavoro sono pochi quelli che possono pagare quella cifra. I tempi per un’analisi sui casi sospetti dell’autunno sembrano dunque destinati a dilatarsi.


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