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La ministra Paola De Micheli (Foto Fabio Ferrari/LaPresse)

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IL 19 Maggio, la ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli, presenziando l’inizio dei lavori per il terzo megalotto della strada statale 106 Jonica, ha sciorinato le opere programmate per la Calabria, esaltando il ruolo del porto di Gioia Tauro e annunciando l’avvio dell’ennesimo studio di fattibilità tecnico-economica dell’AV Battipaglia-Reggio Calabria. Un ritorno all’anno zero, forse senza sapere che già nel 2016 Rfi aveva presentato un progetto di radicale velocizzazione della stessa linea. Ma i doni del governo al Sud non finiscono qui. A partire dal 3 Giugno, un Frecciarossa unirà Reggio Calabria a Torino e poco importa se, grazie alla contemporanea soppressione dei collegamenti più veloci, un reggino per andare a Roma impiegherà un’ora più di prima.

VISIONE EUROPEA

La ministra è stata chiarissima: il porto di Gioia Tauro dialogherà con Taranto, verso quella dorsale adriatica che sarà l’asse fondamentale del trasporto merci verso nord e la rinnovata SS 106 ne rappresenterà la controparte stradale. Per la dorsale tirrenica siamo a livello di studio di fattibilità, cioè all’anno zero. Viene da chiedersi se un bacino di utenza costituito dal porto di Gioia Tauro e dal territorio reggino possa, da solo, dare una svolta alla logistica meridionale. Nulla da obiettare sul potenziamento delle vie di accesso all’estremo sud se lo si inquadra in un ambito territoriale ben più ampio, che comprende quanto esiste al di là dello Stretto; territorio ignorato dalla ministra ma che la Ue aveva ben presente quando aveva immaginato un Corridoio scandinavo mediterraneo che attraversa la Sicilia per giungere fino a Malta. In epoca di globalizzazione, le grandi armature trasportistiche hanno senso solo se sono funzionali a scambi di dimensioni europee, non soltanto nazionali.

Scambi generati da una portualità che non si limita al pur importante bacino di Gioia Tauro, ma va pensata in termini di portualità diffusa che si propone di intercettare parte dei flussi tra Estremo Oriente ed Europa. Fiumi di ricchezza che solcano il Mediterraneo, si dirigono al Pireo, a Marsiglia e Valencia e, spesso, si attestano ai grandi gateway di Rotterdam e Anversa. Porti “monstre” che con decine e decine di km di banchine perfettamente attrezzate fanno impallidire non soltanto la “piccola” Gioia Tauro (3 km di banchine) ma qualsiasi altra realtà portuale mediterranea. Si tratta di accedere a un mercato che nel 2018 ammontava a 36 milioni di teu, 3 volte la movimentazione portuale italiana. Per fare del Meridione un vero gateway, come la geografia e la logica suggerirebbero, così da far risparmiare alle gigantesche portacontainers che girano i mari senza sosta dieci giorni di viaggio e all’atmosfera diversi milioni di tonnellate di CO2, ci vuole ben altro. Ci vogliono spazi e strutture logistiche che nessun porto italiano, da solo, possiede. La soluzione non può che essere un sistema portuale diffuso, interconnesso tramite una rete logistica e offra efficienza e risparmi alle navi provenienti da Suez, dal Mar Nero, dal Medio Oriente e dall’Africa. Oltre a Gioia Tauro e agli scali pugliesi, occorrerebbe associare a questo sistema i 9 km di banchine di Augusta e poi Pozzallo e Trapani. Porti dotati di spazi e aree retroportuali adatte alle moderne esigenze logistiche.

SUBITO LE DORSALI

Una visione sistemica coerente col ruolo del nostro Paese nel panorama euromediterraneo, che dà senso compiuto alle singole opere sbrigativamente annunciate. Una strategia mai seriamente approfondita dalle forze politiche e appena accennata nel 2015 a Napoli, quando fu presentato il Sistema ALI (“Aree Logistiche Integrate”). Attestato sui grandi poli logistici campano e pugliese collegati in AV/AC con i sistemi portuali calabro-siculi in grado di captare i ricchi flussi mercantili che attraversano il Mediterraneo sfiorando la Sicilia. Nessun’altra nazione europea può offrire toccate sul Canale di Sicilia, sullo Jonio, sull’Adriatico e sul Tirreno. Se logisticamente fruibili. In tale ottica, servono subito entrambe le dorsali: quella adriatica che, pur procedendo a rilento, rientra nei programmi di tutti i governi italiani degli ultimi anni. Ma anche quella tirrenica, sulla quale c’è ancora molto da investire. Altro che studio di fattibilità. Due arterie trasportistiche che puntano al centro del Mediterraneo convergendo sul Ponte sullo Stretto, l’elemento in grado di attribuire una funzione geostrategica a sistemi logistici che, in mancanza, perdono buona parte della loro attrattività.

Senza il Ponte si pregiudica la sostenibilità economica delle infrastrutture viarie e ferroviarie previste in Calabria e la stessa AV/AC SA-RC annunciata in un futuro lontano da De Micheli difficilmente supererebbe l’analisi costi-benefici. Con grande gioia di chi, ottusamente, si affida solo al perpetuo e asfittico sviluppo infrastrutturale di un Nord affetto da bulimia cronica. E impediscono alla manifattura settentrionale di diventare l’interlocutore privilegiato del mercato africano in vertiginosa espansione e distante soli 140 km dalla sponda meridionale della Sicilia.

SUD QUESTUANTE

Occorrerebbe riflettere sulla mancanza di un ruolo sistemico di opere annunciate con molta superficialità e poca competenza dagli esponenti del governo centrale; col risultato di disorientare ulteriormente i tremebondi governatori delle Regioni del Sud che, invece di stringere alleanze finalizzate a una crescita complessiva, cedono al localismo più miope e perdono la visione d’insieme indispensabile a una corretta pianificazione infrastrutturale in tempo di globalizzazione. E condannano il Sud al ruolo di fastidioso questuante.


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