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CI sono due numeri che i lettori di questo giornale dovranno tenere bene a mente perché delimitano i termini reali della questione meridionale contemporanea e custodiscono il senso profondo della nostra missione editoriale.

Sono due numeri pesanti. Riguardano la ripartizione della spesa pubblica italiana e l’utilizzo dei fondi comunitari. Meritano di essere esposti separatamente uno dietro l’altro per poterli meglio spiegare in sé e coglierne le loro implicazioni comuni. Misurano l’impoverimento delle due Italie e la marginalizzazione del Paese nell’economia globale. Chiamano in causa la classe dirigente nazionale e interrogano la coscienza civile degli italiani.

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Il primo è 61,5 miliardi e indica lo scippo che il nostro Sud subisce ogni anno dalla “banda del buco” del Grande Partito del Nord (LEGGI). Sono soldi sottratti a donne e uomini meridionali ancora in culla, medici e malati, maestre di asilo e docenti universitari, autisti di pulmini scolastici e passeggeri di treni a alta velocità, per trasferirli pari pari indebitamente ai cittadini del Nord nelle stesse voci di spesa.

O peggio: addirittura nei mille poltronifici lombardi e friuliani delle partecipate degli enti locali dove il numero dei consiglieri – quasi sempre politici trombati o loro parenti, insomma amici degli amici (LEGGI L’EDITORIALE AMICI LORO) – è addirittura superiore a quello degli impiegati della società.

Sono denari pubblici sottratti ai poveri per darli ai ricchi con il trucchetto della spesa storica violando gli elementari diritti di cittadinanza e perfino le regole “federalistiche” volute dal ministro leghista Calderoli del governo Berlusconi del 2009. Misurano la miopia della classe dirigente del Paese perché se è indubitabile che il Nord contribuisce in modo nettamente superiore al Sud nelle entrate dello Stato è altrettanto certo che se continua a estrarre risorse pubbliche dalla parte più debole già esangue, un bel giorno scoprirà che la cassa è vuota perché quella cassa è finita nell’aldilà insieme con il corpo esangue passato a altra vita.

A quel punto, dovrà prendere atto che a pagare il conto pesantissimo saranno proprio i cittadini del ricco Nord con un carico di tasse ancora più elevato se l’Italia resta così come la conosciamo noi oggi o con un destino da piccola colonia franco-tedesca se si imbocca la strada della separazione anche istituzionale. Che dovrebbe, però, almeno passare attraverso una consultazione elettorale di tutta la comunità nazionale. In entrambi i casi, un suicidio.

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Il secondo numero è 75,1 miliardi e indica la dote di soldi pubblici europei in cofinanziamento con quelli nazionali (44,6 della UE e 30,5 italiani) che sono a disposizione prevalentemente del nostro Mezzogiorno sotto forma di incentivi e che non siamo capaci di spendere. Una somma enorme che potrebbe cambiare la vita delle donne e degli uomini del Sud di ogni età restituendo un profilo reale di competitività ai nostri territori contribuendo a creare l’ambiente necessario perché si torni a produrre occasioni di lavoro sano e duraturo, soprattutto di qualità all’altezza, cioè, dello straordinario capitale umano rappresentato dai nostri giovani. Qui non si tratta di assistenza e del suo naturale portato di clientelismo e di trasformismo, ma di opere pubbliche produttive, materiali e immateriali, di ricerca e di innovazione, di sostegno all’impresa manifatturiera, agricola, di servizio e artigianale, che vive di mercato. Qui si gioca il futuro del nostro Mezzogiorno e qui emerge la più grave delle nostre responsabilità.

Non è possibile che la gestione italiana sia la peggiore in Europa insieme con Grecia, Romania e Bulgaria. È inammissibile, ad esempio, come raccontiamo sopra, che il programma di finanziamento addirittura 2007/2013 della metropolitana di Napoli non potrà essere finito nemmeno quest’anno perché gli enti locali litigano con il ministero dei beni culturali sulle griglie di aerazione. Il ministero non ha concesso le autorizzazioni per farle in piazza del Plebiscito. Il TAR della Campania ha sospeso la decisione, il ministero valuta il ricorso. Poi tutto si complica ancora tra reperti archeologici, bandi di gara o di assunzioni mai avviati, e così via. È solo un esempio, di casi analoghi se ne potrebbero elencare all’infinito. Questi sono soldi che ci danno, e sono davvero tanti, che noi (non altri) siamo incapaci di spendere, misurano al centesimo la questione burocratica-amministrativa e politico-giudiziaria tutta italiana che inchioda alle proprie responsabilità la classe dirigente meridionale locale e quella nazionale.

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Per chiedere e ottenere ciò che ci spetta, ciò che ci viene indebitamente sottratto alla voce spesa pubblica in casa, dobbiamo dimostrare di sapere fare le cose, di avere cambiato la testa e i comportamenti, di essere finalmente in grado di fare funzionare la macchina amministrativa e di non continuare a sprecare i 44 e passa miliardi che l’Europa ci dà e noi (non altri) siamo incapaci di utilizzare. Alla fine non li perderemo, ma li useremo male e non saranno quindi neppure sufficienti a sostituire le risorse ordinarie che ci sono sistematicamente sottratte dal Nord. Dobbiamo in fretta recuperare efficienza nella capacità di spesa produttiva anche perché il mondo gira male.

Siamo ancora più manifatturieri dei francesi e, quindi, più vicini a soffrire la guerra dei dazi tra Stati Uniti e resto del mondo, basta andare a vedere che cosa ha comportato la frenata tedesca nell’automotive italiano e nelle terre “ricche” della Brianza, del Bergamasco, del Veneto e dell’Emilia. Dobbiamo farlo in fretta perché siamo governati da chi non ha ancora bene idea di che cosa sia l’economia globale, ha giocato con le parole e ha fatto scelte (quota 100 per le pensioni, soprattutto, reddito di cittadinanza velleitariamente multiuso) che hanno portato in dote all’Italia la sua terza recessione, la prima “autoindotta” della storia recente, fabbricata cioè con le sue mani. Non so perché ma siamo un Paese condannato al passo del gambero. Un anno per sbagliare e due per recuperare. Questo, da sempre, almeno negli anni delle Grandi Crisi. E da sempre il Nord un po’ recupera, il Sud no. Anzi, spesso va ancora più giù svuotato anche dal Nord. Una ragione in più per fare meglio da soli e chiedere dopo di restituire il maltolto. Dipende da noi. Anzi sta in noi, come direbbe Carlo Azeglio Ciampi.

P.S. Vi consiglio la lettura di Mimì, c’è tutta la sapienza di Giulia Carcasi in questo domenicale che si occupa della grande cultura e, cioè, della cultura popolare fatta di territori, tradizioni, letteratura, arte, poesia, canti e tanto altro. Domani il genio di Giorgio dell’Arti vi regalerà, da par suo, il nostro settimanale con il meglio dell’informazione italiana. Sono due appuntamenti che non potete mancare.


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