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Il presidente Conte durante la sua ultima visita in Calabria

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Di feste e cerimonie comprese trasferte ministeriali e corte di clientes al seguito è piena la storia meno nobile del Mezzogiorno.

Almeno da quando è uscito dalla lunga stagione della “coerenza meridionalista” degasperiana, l’intelligenza strategica dello Schema Vanoni, l’età dell’oro dell’irpino Pescatore e del siculo-valtellinese Saraceno. Hanno segnato il meridionalismo delle grandi opere e dei piccoli fatti. Tutti insieme hanno contribuito, in modo significativo, all’unico, vero, miracolo economico italiano, che trasformò un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata, poi in una potenza economica mondiale.

Dopo, è arrivato il mostro bicefalo dell’assistenzialismo e dell’economia della catastrofe. Per finire, di male in peggio, nelle sabbie mobili dell’egoismo dei ricchi e del trasformismo dei poveri, tra una Grande Crisi e l’altra e il federalismo estrattivo di salsa leghista che continua a sottrarre indisturbato risorse pubbliche dal Sud per mascherare i suoi vizi e le sue difficoltà.

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Per queste ragioni di fondo, siamo contenti che il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, abbia raccolto l’appello-denuncia del nostro giornale sullo scippo al Sud, riceve il 6% in meno di spesa pubblica rispetto alla popolazione, e abbia preso l’impegno “a tenere conto di questi squilibri nell’ambito dell’autonomia differenziata”.

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Si tratta di un’operazione verità, a nostro avviso, propedeutica a qualsiasi tipo di scelta che oggi si compie attraverso le parole del Capo del Governo e di cui gliene riconosciamo il valore. Ovviamente, come sempre, vigileremo su questi impegni per misurare la differenza tra le parole e i fatti e teniamo a ribadire di seguito i tre punti, a nostro avviso irrinunciabili.

Per girare pagina rispetto a eredità pesanti del passato e a qualsiasi pretesa di maggiore autonomia nel solco di più soldi ai ricchi e meno ai poveri. 

Eccoli:

•) Credito di imposta. Ancorché il documento di economia e finanza (Def) resti a mio avviso poco più di un’enunciazione di intenti e non ho mai capito perché ci si dedichi tanta attenzione, è però molto grave che non dica una parola chiara sul credito d’imposta, lo strumento rivelatosi più efficace per fare investimenti e creare lavoro, le risorse disponibili, la permanenza dello strumento e la sua durata. L’economia e le imprese si nutrono di aspettative e di fiducia, lasciarle nel limbo dell’indeterminazione politica rappresenta un errore grave da correggere al più presto.

•) Investimenti e quota Pescatore. Se si vuole ridare  competitività all’Italia intera e smetterla di scaricare in modo infantile sull’Europa le proprie responsabilità, bisogna prendere atto che non solo al Sud non arriva il 40% degli investimenti, la cosiddetta quota Pescatore, necessaria per perseguire un effettivo disegno di riequilibrio tra le due Italie, ma si trasferisce addirittura meno di quanto gli spetterebbe in proporzione alla popolazione. Addirittura anche sui temi che appartengono ai diritti di cittadinanza – sanità/assistenza, istruzione da asilo nido a università e ricerca, trasporti e mobilità – che sono tutelati dai principi fondanti della Costituzione e perfino dalle  regole federaliste volute dal ministro padano Calderoli del governo Berlusconi. Tale  operazione verità è propedeutica a ogni generica affermazione  di sviluppo, che apparirebbe in questo modo di principio se non di maniera, e a qualsiasi pretesa di maggiore autonomia. Si utilizzino per davvero i 20 miliardi disponibili nel Fondo di Sviluppo e di Coesione e si dimostri di sapere impiegare in cofinanziamento i contributi comunitari con la stessa efficienza della macchina della prima Cassa guidata da Pescatore che l’Economist definì la lepre ed è esattamente la lepre di cui oggi le donne e gli uomini del Sud non la classe politica e i suoi clientes hanno vitale bisogno. Perché la Napoli-Bari e l’Alta Capacità ferroviaria fino a Reggio Calabria diventino capitoli di spesa, cose che si possano toccare e non enunciazioni programmatiche senza copertura. Insomma, fatti non parole e un ruolo-chiave a livello centrale – tecnico e strategico-  che metta in riga le Regioni e sottragga il Sud allo scippo permanente del Nord attraverso i canali istituzionali territoriali, enti collegati e imprese pubbliche;

•) Zone economiche speciali (Zes). Sono importanti e possono essere un reale moltiplicatore  se le agevolazioni fiscali aggiuntive rispetto al credito di imposta sono indirizzate in modo selettivo solo in alcune aree delle regioni meno sviluppate del Sud. Possono essere decisive per attrarre investimenti di player internazionali, per il trasporto marittimo e la movimentazione delle merci nei porti del Mezzogiorno. L’importante è che tutto avvenga in una logica sistemica coerente di vendita dell’opportunità Sud nel mondo.

Il Mezzogiorno ha bisogno di questo non di altro, ma prima ancora ne ha bisogno l’Italia.  La classe dirigente del Sud deve uscire dal familismo e aprirsi al suo capitale umano che oggi regala al mondo,  fuori da schemi nepotistici non più tollerabili. La classe dirigente del Nord deve uscire dalla logica miope del proprio tornaconto, immunizzarsi dall’illusione della frammentazione, e capire una volta per tutte che la scorciatoia della secessione dei ricchi a spese dei poveri può dare qualche vantaggio nel breve periodo,  ma li consegna per sempre al destino di una piccola colonia franco-tedesca. Peggio, non potrebbe accadere.


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