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Un ufficio pubblico

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Mancava l’ultimo tassello del mosaico dell’Italia assistita e anche questo arriva puntuale, con la forza dei numeri certificati dall’Istat, in un Paese capovolto nel silenzio complice di tutti. Il regno del posto fisso non è a Napoli o a Bari, ma a Milano e Venezia. Roma come Capitale fa storia a sé. A saccheggiare il bilancio della Repubblica italiana è il Nord con un milione e 471mila dipendenti pubblici contro il milione e 227mila del Sud, che è la somma dei dipendenti delle regioni continentali e delle due isole.

OPERAZIONE VERITA’: ESERCITO DI DIPENDENTI PUBBLICI AL NORD

Se mettessimo insieme Nord e Centro si arriva fino alla cifra-record di 2 milioni e 245mila dipendenti pubblici. Ciò che conta, però, sono i comportamenti del Nord, del Centro e del Sud come soggetti pubblici negli anni delle Grandi Crisi. Tra il 2011 e il 2015 il Centro-Nord continua ad assumere e, quindi, a aumentare stabilmente il carico della spesa pubblica, lo fa 26mila volte, il Sud è costretto a espellere dagli uffici pubblici 14mila persone.

Ancora più illuminante il capitolo dei contratti a tempo indeterminato: veneti e lombardi difendono con i denti il posto fisso, lasciano l’impiego pubblico uno su tre rispetto a campani e pugliesi.

Insomma, diciamo le cose come stanno: il Sud paga il conto di tutti, vede espatriare per intero il suo talento giovanile, è obbligato a lasciare persone a casa oppure a inventarsi formule part time e precarie per cercare di contenere la spesa. La prova regina ci è fornita dal censimento ISTAT del 2016, il più aggiornato, che mette nero su bianco che a fine 2015 ogni cento abitanti nel Nord Est 4,9 sono dipendenti pubblici, nel Sud sono 4,5. La media nazionale è pari a 4,6: quindi il Sud è sotto la media, il Nord Est nettamente sopra.

Questi sono dati di fatto incontestabili. Parlano da soli. La verità è che governi di centrodestra, con la manona leghista, e di centrosinistra a trazione tosco-emiliana, hanno fatto precipitare l’Italia in un abisso di miope ingiustizia. È il frutto malato di un finto federalismo (di cui nessuno sentiva il bisogno) che si è tradotto in un marchingegno clientelare con il quale, al di fuori di ogni regola costituzionale e perfino di quelle della legge Calderoli del 2009, si è usata la chiave della spesa storica per aprire a proprio uso e consumo la serratura della finanza pubblica. Si sono prelevate risorse statali che spettano alle donne e agli uomini del Sud, a partire da bambini e anziani, per regalarle a un Nord assistito che ha fatto e continua a fare spesa pubblica allegra, diretta a garantire poltronifici lombardo-veneti dove agli amici degli amici si elargiscono allegramente ricchi gettoni in società partecipate che hanno più amministratori che dipendenti.

Per non parlare della droga assistenziale iniettata nelle vene di un sistema produttivo ridottosi proprio per queste maleodoranti pratiche a colonia franco-tedesca-cinese. Un popolo di ex imprenditori ormai quasi tutti contoterzisti e subfornitori si riempiono presuntuosamente la bocca di etica e di mercato, ma sanno solo mercanteggiare sussidi e incentivi e, “discendendo per li rami”, a volte vengono addirittura a patti con una criminalità organizzata sempre più diffusa nei loro territori in un clima di generale omertà. Questi ex capitani di impresa non hanno nulla da invidiare nei loro comportamenti ai cosiddetti bottegai foraggiati dalla rendita e quella spesa pubblica “rubata” al Sud è stata la malattia sottile che, anno dopo anno, ha corroso (non in tutti i casi, per fortuna, e le sorprese sono dove meno te le aspetti) lo spirito di impresa, la capacità di pensare in grande e di assumersi il rischio, quella cultura internazionale che appartiene sempre più all’amministrazione e al tessuto civile milanesi e sempre meno al suo sistema di imprese.

Questa è la vera questione italiana di oggi. Non può essere un caso, lo abbiamo già detto ma ci piace ripeterlo, che il nuovo Giulio Natta si chiama Nicola Leone, studia e opera a Cosenza non a Milano. Non può essere un caso, e di sicuro pone interrogativi, che l’Università della Calabria – e non altre più blasonate del Nord – è stata scelta come capitale europea della Logica deduttiva dell’intelligenza artificiale, il punto più avanzato della ricerca del futuro. Sveglia, signori, facciamola questa operazione verità, usciamo dal labirinto di un finto regionalismo che coincide con un vero saccheggio assistenziale del Nord a spese del Sud, per recuperare in fretta un’idea di Paese che rimetta al centro la questione non più eludibile di una corretta redistribuzione delle poche risorse disponibili.

Si recuperi lo spirito di Kohl che impose il cambio alla pari e mise così le premesse, con queste e altre scelte coraggiose, per la riunificazione economica delle due Germanie. Si rompa l’isolamento geografico di intere regioni del Mezzogiorno dando priorità a questi territori nel finanziamento e nella realizzazione di infrastrutture finalizzate allo sviluppo, materiali e immateriali. Nel frastuono di un Paese senza guida, che ha la peggiore crescita d’Europa ed è l’unico a non avere recuperato i livelli pre-crisi del 2007, possono vincere l’oppio dell’ideologia sovranista che svuota la sovranità nazionale, le fake news delle mille caste, e un’informazione soprattutto televisiva come non mai ridotta a poco più di un microfono, salvo eccezioni. Noi vorremmo, invece, che vincessero una volta tanto la forza oggettiva dei numeri e la ritrovata centralità della nuova questione meridionale. Servirebbero entrambe. Quasi di più al Nord che al Sud.


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