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Il Parlamento Europeo

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Adesso parlano i numeri, ma attenzione: i numeri bisogna saperli leggere e collocare in un contesto. Le elezioni non sono un concorso di bellezza o canoro in cui con il televoto si decide un vincitore: sono parte di un meccanismo che ha come fine l’organizzazione della distribuzione dei poteri.

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Dunque è comprensibile che come primo impatto faccia notizia la vittoria, magari anche solo per un punto percentuale o poco più, di un outsider su un competitore che si reputava garantito dalla sua posizione istituzionale, ma se si bada al sodo certe vittorie sono le classiche vittorie di Pirro. Vale per l’Europa e vale per l’Italia come vedremo far poco. Prendiamo il caso del sorpasso limitato del partito della Le Pen sulla coalizione intorno a Macron. E’ senz’altro significativo di quanto siano radicati certi umori nella Francia profonda, ma in termini di potere significano poco.

Le Pen non ha la forza a Parigi per rovesciare Macron e al parlamento UE starà in un raggruppamento che supera di poco la cinquantina di seggi, cioè la metà di quelli del gruppo a cui aderirà la coalizione di Macron, che è l’Alde. In più Macron è membro importante del Consiglio d’Europa, cioè di una delle sedi decisionali fondamentali del sistema UE, dove pesa, eccome, mentre Le Pen e i suoi alleati ne sono lontani, potendo forse, e sottolineiamo forse, contare in quel consesso su qualche sponda da Orban, che ha vinto la competizione a casa sua ed è capo di governo: un po’ poco per diventare una forza determinante a Bruxelles. Quanto abbiamo detto per la Francia vale un po’ per tutti i risultati che sono noti sino ad ora.

La realtà è che la valanga sovranista che doveva rivoltare la UE come un calzino non si è verificata. Certo sono rotolati alcuni massi lungo la china, ma è tutto. Alternative für Deutschland è intorno al 10%, il partito di destra che in Austria fu di Strache intorno al 17%, in Olanda per fare il 15% bisogna sommare due partiti (e quello di Geert Wilders su cui puntava la Lega è intorno al 4%), in Irlanda calcolando in questo gruppo il Sinn Fein (ma si tratta di una realtà molto peculiare) siamo intorno al 13%, in Spagna Vox è al 6,22%. Per carità, non stiamo parlando di un fenomeno irrilevante e si può stare certi che sono percentuali che peseranno, non però nello sconvolgere l’impostazione delle politiche comunitarie. Il vero cambiamento che il risultato delle destre populiste determinerà in Europa sarà probabilmente nello spostare gli accenti e le prospettive dei partiti che sono al potere nei diversi paesi europei.

Da un lato è probabile che a livello nazionale ci sia da parte dei governi in carica maggiore attenzione a dare un po’ di soddisfazione alle inquietudini che stanno all’origine del successo, per quanto circoscritto dei populisti/sovranisti. Lo si era già visto nell’aggiustamento di linea politica che Macron aveva impostato dopo l’urto della protesta dei gilet gialli (che, sia detto tra parentesi, non sono però stati in grado di avere una presenza nelle urne per il parlamento europeo). E’ più che probabile che nella CDU, soprattutto sotto la spinta della CSU bavarese, si rafforzi un indirizzo conservatore, che è poi quanto ha garantito la tenuta di quel partito mentre l’SPD è crollata.

Altrettanto si può dire per l’Austria, per l’Olanda, e persino per la Grecia dove Tsipras è stato sorpassato dai conservatori di centrodestra. Paradossalmente, ma non tanto, è improbabile che questo si rifletta in un cambio di passo politico a livello comunitario. Le ragioni sono diverse. Innanzitutto nel parlamento di Strasburgo bisognerà impiantare una alleanza larga, dando spazio a nuove forze, siano queste i Verdi, il vero partito-prodigio di queste elezioni (eccetto che in Italia), o i liberali dell’Alde. Come si sa, i nuovi hanno bisogno di visibilità e dunque porranno delle condizioni, per cui non è improbabile che nel gioco del tira e molla fra i membri della coalizione prevalga la solita scappatoia del cambiare il meno possibile. Inoltre c’è da tenere presente la composizione del Consiglio d’Europa, cioè dell’altra gamba (e che gamba!) su cui si regge la politica comunitaria.

Qui i membri rimangono i capi di stato e di governo già in carica che avranno poca voglia di dare spazio a politiche audaci, visto che in questo momento tutti temono di mettere a rischio gli equilibri economici raggiunti, consapevoli che altrimenti si darebbe spazio ai populismi, cioè a quelle forze che al momento non sono in grado di sfidare la maggioranza dei loro partiti a Strasburgo. Non sono buone notizie per l’Italia, che non è messa bene in questo panorama. Nemmeno da noi le cose sono andate come ci si aspettava: anche se qui la proposta populista/sovranisti non sfonda. Salvini ha portato la Lega ad essere il primo partito, con una percentuale che stando alle prime proiezioni supererà il 30% nel migliore dei casi, non abbastanza comunque per essere il dominus della situazione, né in Europa (dove l’alleanza sovranista ha fatto flop) né in Italia.

Soprattutto colpisce il risultato che si stima per i Cinque Stelle che, se venisse confermato dai dati reali, ridimensionerebbe radicalmente la volontà di Di Maio (e di Conte ?) di passare ad essere lui chi darà le carte nella prossima ristrutturazione della politica italiana. Il PD può essere contento perché è sfuggito al destino che sembrava condannarlo ad una continua marginalizzazione come è accaduto all’SPD o ai socialisti francesi. Torna in partita, forse potrà essere il secondo partito, ma con il problema di non sapere con chi eventualmente allearsi per creare una alternativa all’attuale governo.

Perché è il caso di spiegare subito che le percentuali di voto alle europee non cambiano quelle che oggi esistono in parlamento, per cui una alleanza PD+ M5S potrebbe forse sfiorare una maggioranza, ma vedrebbe il partito di Zingaretti come junior partner di un Di Maio scatenato alla ricerca di una rivincita dopo la delusione di ieri sera. Fuori dei tre partiti maggiori non c’è storia. Berlusconi forse porterà a casa per un soffio la doppia cifra, forse non ce la farà, ma comunque non ha guadagnato abbastanza da convincere Salvini che il centrodestra possa essere l’alternativa vincente (ma per una valutazione definitiva aspettiamo i risultati delle amministrative che potrebbero dare sorprese). Il resto è contorno, neppure più di tanto saporito. Bisognerà dunque prepararsi ad una nuova stagione di fibrillazioni. Non il meglio, ma bisognerà farsene una ragione.


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