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Matteo Salvini

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Matteo Salvini ha sulla sua strada tante pietre che possono farlo rotolare, ma ce n’è una più ingombrante che deve avere la forza politica di rimuovere subito. Questo macigno si chiama autonomia differenziata. Rischia di spaccare per sempre l’Italia e la condanna nel medio termine a uscire dal novero dei Paesi industrializzati. Offre un assegno assistenziale ai ricchi con i soldi dei poveri, fa accrescere nel breve i voti nell’urna al Nord, ma alla lunga mina la stabilità italiana. Apre buche non colmabili nella splendida scalata politica leghista. Salvini ha vinto le elezioni europee in casa, dalle Alpi alla punta dello Stivale, ha numeri da primo attore in quasi tutti i territori meridionali, ma deve capire che in Europa lui è l’ultimo. Che l’Europa ancorché fortemente malconcia non è sovranista e, soprattutto, che lui ora ha sulle sue spalle, in casa e fuori, il Nord e il Sud del Paese. Su questo non su altro verrà giudicato.

LEGGI: IL RISULTATO DELLE ELEZIONI EUROPEE

Questo giornale, dal suo primo giorno di uscita, ha documentato che, con il giochetto della spesa storica, da almeno dieci anni in qua le Regioni e i Comuni del Nord rubano alle Regioni e ai Comuni del Sud decine e decine di miliardi l’anno di spesa sociale e di investimenti produttivi. Sono soldi indebitamente sottratti ai deboli dai forti con l’aggravante che si privano quasi tutti i Comuni del Mezzogiorno anche di pochi euro per abitante da destinare al trasporto locale e agli asili nido. Si fanno invece regaloni di Stato per milioni di euro agli amici degli amici, politici trombati e così via, sistemati nella mangiatoia (sopravvissuta solo al Nord) di municipalizzate, partecipate delle partecipate, consulenze di comodo in un coacervo di complicità non immune dalla presenza della criminalità organizzata.

L’EDITORIALE: DALL’URNA NUOVI PROBLEMI PER L’EUROPA

Ministro Salvini, questa catena truffaldina è la vergogna delle vergogne e lei, se vuole provare a rimettere in cammino l’Italia e contribuire a una presa di coscienza politica (necessaria) dell’Europa, deve prenderne pubblicamente atto. D’altro canto, proprio a lei e al ministero dell’Economia, il presidente del TAR del Lazio ha chiesto di spiegare in trenta giorni, non uno di più, come e perché con un semplice comunicato ministeriale, nemmeno un decreto, si è deciso di dare zero euro ai Comuni del Sud per gli asili nido negli anni 2018 e 2019. Come e perché si sono aggirate nei fatti la Costituzione e perfino le regole federali decise dieci anni fa dall’ex ministro leghista Calderoli, rifiutandosi di definire i fabbisogni standard e nascondendosi dietro il solito trucchetto della spesa storica per cui di anno in anno il ricco è sempre più ricco e il povero è sempre più povero.

Con questa brutta storia lei dovrà fare i conti in tribunale, al quale si sono rivolti per ora 65 Comuni di Molise, Campania, Puglia, Calabria, ma prima ancora li dovrà fare con la sua coscienza e con l’intelligenza della politica. Ministro Salvini, ha davanti a sé un autunno terribile, gli occhi dei mercati sono puntati sulla manovra di bilancio. Dovrà trovare dai trenta ai quaranta miliardi, ma se non vorrà ripetere gli errori di Renzi e, prima ancora, di Berlusconi, dovrà rimuovere il macigno che ostruisce la strada per trasformare la Lega Nord in Lega Italia e impedisce di affrontare un percorso ineludibile per negoziare con l’Europa un piano triennale di spesa pubblica, in deroga al vincolo del 3% di deficit/pil.

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Sia chiaro: non per continuare a estrarre risorse pubbliche dal Sud a favore del Nord o per distribuire vecchio e nuovo assistenzialismo, ma piuttosto per fare investimenti produttivi a partire proprio da chi ne ha più bisogno, e cioè il Sud, e per occuparsi seriamente di economia reale e di tagliadebito. Non si lasci incantare dalle sirene del consenso e dei profittatori che girano come cavallette intorno agli uomini di potere. Faccia capire al suo tradizionale serbatoio elettorale che se continuano a succhiare quattrini dal Sud del Paese, l’Italia non crescerà mai di quel 2/3 per cento di cui spesso lei si riempie la bocca.

Se si lasciano quasi 20 milioni di persone con un reddito pro capite che è la metà delle popolazioni del Nord non c’è nessuna speranza di raggiungere livelli di crescita almeno spagnoli e di ridurre l’incidenza del debito pubblico sul prodotto interno lordo. Non creda di andare in Europa, come troppo spesso si sente da lei ripetere, e di potere dare da solo le carte, nomino questo o quello, faccio questo o quello. Non è così, non va così. Si presenti piuttosto con un programma serio di medio termine fatto di cose serie, segua i consigli del professore Capaldo che è un uomo di esperienza e conosce il valore delle regole, e si prodighi non per abbattere l’Europa ma per aprire cantieri al Sud e al Nord, ridurre la pressione fiscale.

Liberi il Nord dalle tossine assistenziali, alimentate dalla cassa sottratta al Sud, che tanto male stanno arrecando alle imprese sane dei suoi territori, aguzzi l’ingegno sul tagliadebito, lavori sulla reputazione per ridurre il fardello del caro-interessi legato allo spread. Si ricordi sempre che ha vinto in Italia non in Europa e che, anzi, la crescita dei micronazionalismi nei Paesi europei renderà sempre più agguerriti i governi francotedeschi e nordici contro la condivisione dei debiti pubblici e la gestione comune dell’immigrazione. Lei non ci crederà, ma se avrà la forza (politica) di tenere testa alle pressioni autonomiste sbagliate del Nord nessuno dei tanti poteri che sono in guerra con lei avrà vita facile. Soprattutto, effetto collaterale di assoluta rilevanza, l’impossibile sogno di un’Europa che esca dalla gabbia che si è costruita con le proprie mani, può diventare realistico.

I non sovranisti hanno vinto, comandano loro, ma la sberla l’hanno sentita, ognuno a casa propria, e poi più fragorosa tra Bruxelles e Strasburgo, perché gli schiaffi ricevuti, piccoli e grandi, sono tanti. L’Europa di oggi non ha più bisogno di amministratori di condominio ma di una guida carismatica per uscire dall’ultima crisi di passaggio e dalla nuova tempesta politica. Servono uomini delle istituzioni con la tempra dei Fondatori e capaci di ripetere nel loro campo quello che ha fatto Draghi con la politica monetaria. Il celebre whatever it takes, la mossa giusta nel momento giusto, misura il coraggio americano del banchiere centrale europeo.

Draghi agisce in assoluta solitudine, non ha un mandato e ha quasi tutti i potenti contro, ma la Bce non caccerà nemmeno un euro e la speculazione si ritirerà. Questo significa essere guida non amministratore di condominio. L’Europa non ha bisogno di nuovi bancolotti e di nuove spartizioni tra i partiti. Ha bisogno di un leader vero, rispettato nel mondo, ascoltato da tutti, indipendentemente dal cappellino che ha in testa. Capace di ripetere con l’Europa l’operazione fatta da Draghi con l’euro. Due parole e una faccia. Questo serve per avere un metodo di fare politica in Europa e ritrovare l’unità e l’equità che mancano.

A ricordarcelo è ancora una volta Draghi e lo fa citando un discorso di 38 anni fa del Papa Emerito Benedetto XVI in un suo intervento molto apprezzato all’università di Bologna. Ci piace riprodurlo di seguito: “Essere sobri ed attuare ciò che è possibile, e non reclamare con il cuore in fiamme l’impossibile, è sempre stato difficile; la voce della ragione non è mai così forte come il grido irrazionale… Ma la verità è che la morale politica consiste precisamente nella resistenza alla seduzione delle grandi parole… Non è morale il moralismo dell’avventura… Non l’assenza di ogni compromesso, ma il compromesso stesso è la vera morale dell’attività politica”.


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