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Una riunione della conferenza delle Regioni

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C’è sempre qualche pepita nuova nella miniera scavata dal Nord a spese del Sud all’interno del bilancio pubblico italiano. Ogni giorno ne scopriamo una. La madre di tutte queste pepite si chiama spesa storica, un modo efficace per fare partire sempre (molto) avvantaggiato il ricco e (molto) svantaggiato il povero.

Questa madre ha una dimestichezza naturale con il gioco delle tre carte, quasi una predisposizione cromosomica, è l’allenatrice della squadra dei ricchi e vince da anni indisturbata il campionato italiano della spesa pubblica allargata. Quando c’è lei a bordo campo per i poveri non c’è partita. Sa scovare tutte le pepite d’oro nascoste nelle pieghe del bilancio statale italiano, se necessario anche di metalli di minore valore, le preleva dalla cassa formalmente destinata alle Regioni meridionali, le mette da parte con destrezza – ha sempre l’argomento giusto – e poi le offre tutte insieme su un piatto d’argento alle Regioni settentrionali.

La pepita di oggi vale 6 miliardi e sono quelli sottratti abilmente alla Regione Puglia per regalarli alla Regione Emilia Romagna. A scoprirla e a raccontarcela è Vincenzo Damiani che, su questi temi, sta sviluppando il fiuto dei segugi di razza.

LEGGI L’INCHIESTA DI DAMIANI SUL RIPARTO DEI FONDI IN SANITA’

Volete sapere che cosa prevedeva la legge istitutiva per la ripartizione regionale delle risorse del fondo sanitario nazionale? Quattro criteri: popolazione residente, frequenza dei consumi sanitari per età e sesso, tasso di mortalità e indicatori di particolare crisi di singole situazioni territoriali. Con una passata di mano sul tavolo da gioco la mamma di nome spesa e di cognome storica ha fatto sparire tutte le carte che non le piacevano e ne ha lasciato in campo, di fatto, una sola e, cioè, quella dell’età che, dati Istat alla mano, avvantaggia Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, e danneggia la Puglia e le altre Regioni meridionali.

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A furia di togliere di qua e di mettere di là, per 13 anni consecutivi, siamo arrivati a un costo per personale dipendente – che è la principale voce di un bilancio sanitario – pari a 658 euro per abitante della regione Emilia-Romagna e a 485 in Puglia. Tra minori fondi e mobilità sanitaria ballano sei miliardi tra due Regioni che hanno popolazioni omogenee. Questi dati emergono dal rapporto finanza territoriale 2018, curato da sei centri studi specializzati pubblici e privati di sei Regioni (Piemonte, Lombardia, Toscana, Liguria, Campania, Puglia) e unanime nelle sue conclusioni: “il problema principale della sanità meridionale non pare connesso all’esigenza di ridurre la spesa eliminando gli sprechi, ma è anzi legato all’esigenza di potere beneficiare di un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse del Fondo sanitario, per potere sostenere gli investimenti indispensabili per recuperare il gap infrastrutturale con il resto del Paese e potere incrementare la qualità dell’offerta, riuscendo a garantire i Lea (livelli essenziali di assistenza ndr) come previsto dalla Costituzione italiana”.

Questi sono i fatti, nulla da aggiungere. Un singolo fatto di un mosaico di fatti che porta a un saccheggio di Stato per la modica somma di 61 miliardi. Forse, ora, vi è più chiaro perché non si vuole l’indagine conoscitiva della Camera sulla spesa pubblica regionalizzata. C’è chi in una notte durata 13 anni ha scavato in miniera per togliere ai poveri e dare ai ricchi riempendo spesso i primi anche di improperi. Non vogliono essere scoperti. Perché se no non possono “legalizzare”, con l’autonomia differenziata, il più clamoroso furto di Stato della storia repubblicana. Loro non vogliono, ma sbagliano. Farebbero più bella figura a mettere mano al portafoglio e a cominciare a restituire almeno una parte del maltolto.


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