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Il premier Conte con i vice Di Maio e Salvini

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La spinta delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna ad ottenere un’autonomia “differenziata”, cioé maggiore, continua ad occupare gli spazi di riflessione del Governo, in particolare di quella parte (due ministri) che insieme al Presidente del Consiglio ne esauriscono la visibilità e non solo.

Il contenuto sostanziale di questa ipotesi di autonomia non è molto chiaro, poiché l’informazione che riesce a raggiungere la popolazione è a dir poco ridotta, ci aiutano le bozze anticipate da questo giornale. Si sa che si arriverà inevitabilmente ad un trasferimento di risorse finanziarie conseguente al trasferimento di competenze, calcolato principalmente sulla “spesa storica”, che non a caso da un po’ di anni continua ad aumentare per quelle ed altre regioni del nord e per ciò stesso a diminuire per le regioni del sud, come ha lucidamente spiegato il direttore Roberto Napoletano nei suoi editoriali e in documentate inchieste giornalistiche.

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Si impone, a questo punto, che l’operazione verità avviata approdi in Parlamento, nessuno deve avere paura della verità. Più in generale, è certo che l’autonomia differenziata premierà fortemente le regioni del nord fino ad assumere i caratteri anche formali di quel distacco che già oggi possiamo facilmente cogliere rispetto alle regioni ad autonomia “speciale” (Trentino, Friuli, Valle d’Aosta, Sicilia e Sardegna).

Alcuni già parlano di secessione, di trasformazione dello Stato unitario in Confederazione, utilizzando categorie giuridiche non sempre in modo proprio, ma almeno con l’effetto di farsi comprendere. Sulla secessione, ad esempio, non mancherebbero le simpatie anche al sud, nella speranza, perché tacerlo, di un ritorno all’antico, compresa l’exit dall’Unione europea dei Paesi e dei territori sovranisti.

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Volendo, tuttavia, considerare lo sfregio che con questo progetto di autonomia differenziata si fa non solo al sud ma al Paese, il cambiamento più grave che si intravede nelle carte sull’autonomia differenziata è quello ai fondamentali di uno Stato democratico ancorato ad una Costituzione rigida, faticosamente ma responsabilmente realizzato all’alba della nostra Repubblica. In primo luogo, la legge rinforzata (a maggioranza assoluta) prevista dall’art. 116, comma terzo, della Costituzione viene rappresentata solo come un passaggio formale del tipo “prendere o lasciare”, senza possibilità di emendamenti o modifiche al testo varato dalle Regioni interessate e dal Ministro delle Regioni.

Non basta: il contenuto dell’autonomia sarà nel dettaglio disciplinato da una Commissione Paritetica, composta con nomine del Ministro delle Regioni e della Giunta regionale interessata, insomma un gruppo di amici, che pertanto adotterà degli atti che, non essendo né regolamenti, né leggi, ma solo rescritti di viceré, non saranno sottoposti ai controllo di legittimità e di merito in uso nei Paesi democratici, compresi il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale.

Ecco, questo sì, sarebbe la prova palpabile di un ritorno all’antico ventennio, con costituzione flessibile, nessun contrappeso a garanzia di tutti contro i capricci della maggioranza del momento, una riforma della giustizia per avere giudici amici che non rompano le scatole con la tutela dei diritti fondamentali e il principio di eguaglianza, e così di seguito. In breve, un futuro di colore scuro per un grande Paese.

(Presidente Emerito della Corte Costituzionale)


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