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Il presidente Giuseppe Conte

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L’Italia ha bisogno di un nuovo De Gasperi e della sua coerenza meridionalista. L’Europa e il mondo hanno ancora bisogno di Draghi perché è la sua indiscussa leadership monetaria globale a consentire di riarmare il bazooka con il riacquisto di attività nette (Qe2), taglio dei tassi e qualche altra sorpresa. L’Italia ne avrebbe ancora più bisogno perché c’è un punto dove il carismatico leader politico e il carismatico banchiere centrale si incontrano: è un punto comune che fa la differenza per il futuro di un Paese perché è quello in cui entrambi diventano statisti.

Il primo perché pone le basi, con la sua azione politica, per trasformare un Paese agricolo di secondo livello prima in un’economia industrializzata poi in una potenza economica mondiale. Il secondo perché in assoluta solitudine con tre sole parole (whatever it takes, sarà fatto tutto ciò che è necessario) mette coraggiosamente in gioco la sua credibilità personale e salva l’euro, di conseguenza l’eurozona e l’Italia. Sono risultati che appartengono alla storia. Questa merce rara fa la differenza. Soprattutto, per un Paese come il nostro che, diversamente dalla Spagna, non ha voluto o non ha saputo sfruttare l’ammortizzatore sociale monetario messo coraggiosamente in campo da Draghi – capovolgendo l’impostazione del suo predecessore francese, il patriota Trichet, e vincendo l’opposizione del Governatore della Bundesbank Weidmann – per chiudere la brutta stagione del regionalismo miope, riprendere a fare spesa per investimenti nel Mezzogiorno, mettere in sicurezza la finanza pubblica.

Con questa consapevolezza ascolteremo il discorso in Parlamento del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, perché riteniamo che ci siano dei momenti in cui il riscatto delle istituzioni deve ritrovare la sua sede solenne anche in un Paese umiliato davanti agli occhi del mondo perché la sua politica si espone a torso nudo sul bagnasciuga “dello stato libero di Bananas”. Da Giuseppe Conte gli italiani si attendono oggi parole chiare.

Deve chiudere la sua esperienza di governo dicendo con nettezza perché ciò accade e per colpa di chi (Salvini, fenomeno Papeete Beach, molto altro) e allo stesso tempo rivendicare con orgoglio il suo ancoraggio all’interesse generale e a una collocazione europea e atlantica finalmente solide e mature.

Sappia, però, che dovrà dimostrare di sapere elaborare una nuova proposta politica motivata, seria e di lungo respiro, che metta al centro la crescita e il Mezzogiorno per unire l’Italia e riguadagnare credito in Europa, ma deve farlo mettendo anche i grillini davanti alle loro responsabilità dimostrando di saperli guidare a un approdo nuovo dove l’assistenzialismo si scolora e lo sviluppo secondo le regole moderne del capitalismo vive di luce condivisa. Deve chiedere e ottenere un patto fondativo nuovo al Movimento 5 Stelle che eviti gli equivoci Tap, Tav e così via, uscite penosamente improbabili come abolire la povertà dal balcone di palazzo Chigi, e trovi nella ripresa degli investimenti in infrastrutture di sviluppo al Mezzogiorno la priorità economica italiana e il cemento armato di una nuova alleanza politico-istituzionale la più larga possibile.

Serve un disegno di crescita unitario che recuperi le ragioni dello Stato centrale e dell’Europa contro le scorciatoie miserabili dei Governatori lombardo-veneti e di una politica decennale di destra, di marca leghista, che attraverso il grimaldello della spesa storica ha dato ai ricchi rubando ai poveri e ha posto con arroganza le basi della nostra attuale marginalità. Sono cose complicate a dirsi, ancora di più a realizzarsi, serve qualcosa in più di ciò che ha mostrato di avere in sede europea salvaguardando in extremis la dignità della storia di un Paese Fondatore, qual è l’Italia, e evitando il carico insopportabile della procedura di infrazione. Serve il carisma, Presidente Conte, senza il quale non si esce dal linguaggio della irrealtà – solo gli inglesi con la hard Brexit fanno peggio degli italiani – e non si fanno i conti con la crisi globale e le nostre storiche debolezze.

Il Paese ha bisogno di ritrovare in fretta il clima di concordia della stagione d’oro dell’Italia, il dopoguerra, e lo spirito del fare dei Menichella e dei Di Vittorio, il Governatore della Banca d’Italia che vinse l’oscar mondiale delle monete con la lira e il capo della Cgil che non diede mai il suo assenso ai carri armati in Ungheria. Tutte e due sono foggiani, il primo di Biccari e il secondo di Cerignola.

Presidente Conte, sono delle sue terre e ci piace pensare che la sensibilità da Lei dimostrata sul tema del Mezzogiorno La porti a condurre fino in fondo l’operazione verità sulla ripartizione della spesa pubblica tra Nord e Sud e a combattere senza tentennamenti il vizietto nordista di rubare i cofinanziamenti nazionali e di impossessarsi della cassa pubblica degli investimenti.

Purtroppo, tra un ombrello monetario e l’altro, l’Italia anemica nella crescita e diseguale al suo interno come mai, è sempre lì sospesa tra derive argentine o greche e isolamento europeo, scavalcata e addirittura umiliata da Spagna e Portogallo nella reputazione sui mercati. Sono sfide da far tremare vene e polsi che richiedono un amalgama speciale fatto di passione politica, intelligenza tecnica, riformismo cattolico e cultura laico-progressista. Sono missioni, appunto, da statista.


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