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Il presidente Sergio Mattarella

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Basta giochini, manfrine, tatticismi. Il Paese è sull’orlo del baratro e non lo sa, l’ombrello monetario copre tutto. Non lo sanno gli italiani che vivono nel mondo (irreale) del recinto nazionalista salviniano dove è sempre tutto colpa della Merkel e di Macron, dove si vendono sogni e si paga pegno, insomma l’Italia dei barconi e dell’isolamento internazionale.

Non lo sanno capetti e assistenti, colonnelli e sergenti della nuova politica populista (5 Stelle) che non si rendono nemmeno conto che hanno portato al minimo storico la reputazione dei titoli sovrani italiani, umiliati anche da quelli portoghesi; contano, vantandosi, il numero di deputati e senatori e ignorano allegramente i numeri della crisi di fiducia e della disfatta produttiva causate dal loro dilettantismo e dalla cura somministrata dal più bizzarro degli assistenzialismi occidentali, sempre il loro, né assegno di povertà né sostegno per un nuovo lavoro.

Nel fronte del partito democratico le ragioni avvilenti dei due partiti in uno vincono sempre su tutto, il regolamento dei conti permanente effettivo domina incontrastato. Parlano a ragione del fallimento del governo populista-sovranista ma contribuiscono all’irrimediabile irrilevanza italiana pensando e agendo in una logica di calcoli, veti e controveti, che rende (totalmente) ipocrita la corretta narrazione della grande crisi italiana.

Potevano mancare, in questo specialissimo Stato libero delle Bananas che vede venti milioni di persone incamminate verso la povertà, le sirene leghiste che inseguono il Paragone di turno, pro tempore pentastellato, per ricominciare a tessere la tela della balla populista-sovranista in sfregio alla verità dei fatti, all’urlo spiaggiato del Capo leghista (tutti a casa, anzi al voto) e, nei fatti, a ogni regola che è sostanza di una moderna democrazia e della sua vita istituzionale? A tutti questi signori manca completamente la consapevolezza della pesantezza della crisi internazionale che rischia di travolgere le tante fragilità italiane.

Siamo il fanalino di coda nella crescita europea, ma siamo anche “orgogliosamente” privi della minima consapevolezza che restiamo l’unico Paese in Europa a non avere raggiunto i livelli pre-crisi. Bisogna velocemente prendere atto che nel mondo della realtà la piccola nave italiana deve solcare i mari procellosi della nuova crisi globale dove si intersecano il rischio di una nuova bolla americana, una Cina acciaccata dalla guerra trumpiana dei dazi e a sua volta guerriera contro i titoli di stato statunitensi, la recessione tedesca prossima ventura e l’imminente attacco del solito Trump al cuore dell’Europa e ai suoi prodotti, la speranza piena di incognite sui Paesi emergenti, l’ombra inquietante della hard Brexit, le due Italie divise e lacerate.

C’è bisogno di una mano ferma sul timone che eviti al barcone italiano di finire rovinosamente sugli scogli, lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Perché questi sono i fatti, e questi fatti sono ineliminabili, con essi siamo costretti a misurarci.

Viceversa la composita banda di dilettanti irresponsabili al governo, all’opposizione, in spiaggia, ci ha prima propinato la folle crisi di ferragosto con scene peroniste, a tratti folcloristiche, l’uomo solo a torso nudo che parla al Paese dal bagnasciuga e confonde il consenso dei sondaggi con le chiavi del potere assoluto. Poi, ci ha regalato un dibattito parlamentare surreale dove domina ancora la rumorosa propaganda e si smarriscono il valore e la dignità del discorso del presidente del Consiglio dimissionario.

Conte ha scelto la collocazione europeista e transatlantica, mette in guardia con onestà dai rischi dell’autoritarismo, e rimette coerentemente il suo mandato nelle mani del Capo dello Stato anche di fronte ai tardivi (imbarazzanti) ripensamenti del Capitano leghista senza più bussola. Adesso, tutti insieme, continuano a recitare la loro parte in commedia, sotto la calura ferragostana, come se nulla fosse, nuovi giochini, colpi bassi, tatticismi, tanto l’ombrello monetario riaperto da Draghi copre tutto e permette ai ragazzi nuovi della politica italiana e ai signorotti anziani del Pd di continuare a fare melina. Lavorano allegramente per il “Ribaldo” che tornerà a lanciare i suoi slogan da spiagge e piazze e per i suoi seguaci, giovani e anziani, che si sentono in libera uscita e hanno già ripreso a fare il male del Paese giocando con l’euro e con l’Europa tanto noi italiani non lo sappiamo, sui social non ce lo dicono. Basta! Presidente Mattarella, quattro giorni in mano a gente così sono sprecati.

Li chiami e dica loro che, prima di tutto, devono trovare un Presidente del Consiglio terzo, di profilo internazionale riconosciuto dal mondo, e gli devono chiedere in ginocchio di prendersi cura dell’Italia in casa e fuori. Ottenga, inoltre, l’impegno a fare una squadra di ministri di comprovata competenza e capacità, dove necessario di esperienza; abbiamo bisogno di persone che sanno fare le cose, non c’è più tempo per la sperimentazione. Poi, chieda a loro se sono d’accordo a mettere al centro della politica economica italiana, gli investimenti e il Mezzogiorno, e a fare, quindi, la non più eludibile operazione verità sulla ripartizione della spesa pubblica allargata tra Nord e Sud.

Li inviti a stringere un patto politico-istituzionale di lealtà e adesione convinta al progetto europeo nominando le persone giuste come commissario e come rappresentante della Banca Centrale europea e negoziando, allo stesso tempo, con l’Europa che ritrova finalmente il suo terzo Paese fondatore almeno tre anni di politica economica di sviluppo dove l’unica cosa che non si può più chiedere agli italiani è di aumentare le tasse. Di cambiare la testa e di fare le riforme sì, di elevare le tasse no.

Oggi i mercati brindano, anche se i nostri titoli sono tre volte più cari di quelli portoghesi, perché vedono sparire il rischio di rottura dell’euro con il ridimensionamento dell’anomalia Salvini e aspettano il nuovo bazooka, ma il tempo per noi stringe, la moral suasion dell’uomo più amato dagli italiani è un bene prezioso. Va speso ora, dopo potrebbe essere troppo tardi.


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