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Il Secondo Governo Conte

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Avere sostituito la ministra Pinocchio, Erika Stefani, con una persona di valore e di comprovata competenza come Francesco Boccia nel governo della Repubblica italiana ci mette di buonumore. Solo in Italia si può consentire a un rappresentante di governo di mentire spudoratamente in Parlamento e di rimanere al suo posto. È successo con la Stefani che ha spacciato come dati regionalizzati della spesa pubblica, quelli relativi solo alle amministrazioni centrali, che valgono all’ingrosso poco più di un quarto della spesa pubblica allargata, e ha, quindi, accreditato una ripartizione territoriale non vera dove le Regioni del Sud in realtà fortemente penalizzate apparivano addirittura favorite. Qualcosa che assomiglia molto al gioco delle tre carte, inventato prima a Pontida poi a Varese, con cui la Lega ha vincolato interventi sociali e investimenti pubblici alla spesa storica, per cui il ricco diventa sempre più ricco e il povero diventa sempre più povero, arrivando a sottrarre al Sud più di 60 miliardi l’anno dovuti e regalandoli come spesa spesso assistenziale al Nord.

La Stefani in Parlamento ha ripetuto il gioco delle tre carte inventato da Calderoli con la legge sul federalismo fiscale del 2009 (facciamo dopo i livelli essenziali di prestazione e i fabbisogni standard, carta perde; e usiamo la spesa storica che favorisce i nostri amici, carta vince) e è riuscita addirittura a fare “sparire” dalla comunicazione della contabilità nazionale gli effetti perversi della spesa storica e ha tenuto, quindi, “coperta” la carta truffaldina con cui il Nord ha continuato a estrarre indebitamente dal bilancio pubblico risorse destinate ai poveri per fare i ricchi ancora più ricchi. Scusate per questa lunga premessa, ma è solo per dirvi che con Boccia questo non può più succedere perché è stato proprio lui, dalle colonne di questo giornale, a condividere e lanciare in Parlamento l’operazione verità sulla spesa pubblica allargata che abbiamo chiesto dal nostro primo giorno di vita perché riteniamo che dati certi e condivisi siano irrinunciabili per evitare di ripetere gli errori commessi negli ultimi vent’anni di governo della politica economica italiana sotto l’egemonia del ceto nordista.

Attendiamo con molto interesse il discorso per la fiducia del Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di cui abbiamo sempre apprezzato il rigore istituzionale, lo spirito europeista, e la sensibilità dimostrata da lui sul terreno dell’autonomia differenziata e del vuoto di spesa pubblica per infrastrutture nel Mezzogiorno.

Conte ancora prima di Boccia con una lettera a sua firma inviata a me e pubblicata dal nostro giornale, si è impegnato a tenere conto di questa miope asimmetria nella gestione delle risorse pubbliche. Vorremmo dire a lui, a Gualtieri che ha la responsabilità dell’Economia e sa di che cosa parla, a Boccia, al ministro per il Sud, Provenzano, di uscire dal piccolo recinto della legge di bilancio, una volta disinnescate le clausole di salvaguardia dell’Iva, per fare un po’ di cuneo fiscale, un po’ di investimenti pubblici, un po’ di 4.0 e un po’ di assegno unico per il welfare, e ancora un po’ di qualcos’altro con qualche miliardino in più qui e meno qui, sopra e sotto.

Non è uno scherzo fare anche questa legge di bilancio e trovare i 35 miliardi che servono, d’accordo, ma sarebbe una delle tante manovre del Pd che poi ci obbligano alla crescita dello zero virgola, il solito piatto sciapo, non muori per denutrizione ma non cresci come dovresti. No, grazie. Il Capitano voleva fare la Flat tax e non avrebbe avuto i soldi per farla davvero, però aveva un progetto e vendeva il sogno agli italiani; se volete durare qualche giorno in più di qualche mese e, soprattutto, fare qualcosa di buono davvero per il nostro Paese, allora dovete avere anche voi un progetto e, a differenza di Salvini, attuarlo. Si può fare se partite dall’operazione verità e prendete atto, senza nascondervi, che l’economia italiana può ripartire alla grande solo con una massiccia dose di investimenti pubblici, a partire dal Mezzogiorno.

Incredibilmente, i soldi ci sono, sono tutti nel Fondo pluriennale da 130 miliardi fino al 2034, voluto da un uomo che sa guardare lontano come l’ex ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, altri (tanti) possono venire dai fondi comunitari, altri si mobilitano con capitali privati, dovete solo fare in fretta la Centrale unica di Progettazione per garantire quella regia tecnica centrale che supera le buche del regionalismo predone (al Nord) e incapace (al Sud) e, soprattutto, dovete dire chiaro e tondo che la priorità sono le infrastrutture di sviluppo nei territori meridionali e il recupero della spesa sociale inopinatamente sottratta fin qui. Solo così si possono gettare le basi per una crescita alla grande del Paese tutto, perché così si fa il bene del Nord prima ancora che del Sud, provando finalmente a unificare economicamente le due Italie e offrendo al mondo della produzione un mercato interno degno di questo nome. Senza questa operazione verità – oggi la spesa per infrastrutture al Sud è pari allo 0,15% del Pil – e senza una scelta così coraggiosa di politica interna di sviluppo a nulla serviranno gli ombrelli monetari garantiti prima da Draghi e poi dalla Lagarde.

Questo Paese non può continuare a comprare tempo per fare assistenzialismo, deve ripartire con un new deal ambientale che dia al Sud quello che non gli ha mai dato e al Nord quello che si deve senza inutili guerre di religione. Altrimenti, con la classe locale predona di oggi e le regole aggiustate del federalismo peggio ancora dell’ipotetica autonomia differenziata, si continua a rimanere sotto i livelli pre-crisi del 2008 unici in Europa. A chi vi racconta la favola che la colpa è della palla al piede del Sud, rispondete con tranquillità che non è vero. Il mitico Nord, nonostante i saccheggi operati nel bilancio pubblico italiano grazie ai trucchetti dei suoi amici al governo del Paese, è ancora 2,4 punti sotto i suoi valori alla vigilia della Grande Crisi finanziaria. Prima si capisce che non è più tempo di trucchi e scorciatoie, prima gli alimentatori di questi flussi di demagogia e di disinformazione si scusano con le loro comunità per averle male informate, meglio è. La rotta ferma del nuovo governo, su questo punto, è decisiva e immodificabile. Siamo in ritardo di venti anni. Non ci aspettano più.

P.S. La designazione di Paolo Gentiloni a rappresentare l’Italia nel governo della Commissione europea è un’ottima scelta e può dare soddisfazioni all’Europa e agli italiani. Sento, però, un’aria che non mi piace quasi che, con la crisi della domanda interna tedesca e con un facilitatore amico alla Gentiloni, l’arcigna Commissione europea ci consentirà di fare tutto quello che vogliamo. Per evitare delusioni consigliamo di non inseguire nuove scorciatoie all’italiana. Non sarebbe giusto né per noi né per Gentiloni.


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