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CHE COSA significa è stato un errore umano? Vuole, forse, dire che la sicurezza di treni che viaggiano a trecento chilometri l’ora è legata alla diligenza dell’operaio manutentore? Come dire: è successo (2 morti, 31 feriti) perché era stanco? Ha sbagliato un movimento? È stato montato male uno scambio o è stato montato addirittura al contrario? Oppure, peggio, si articola la spiegazione tecnica: l’uomo non ha completato il lavoro sul deviatoio, ha dimenticato qualche morsetto; di conseguenza, il treno ha trovato la via ostruita e è uscito dai binari.

Abbiate pazienza: liquidiamo il tema della sicurezza con l’errore umano di uno che non sa fare il suo mestiere e non ci viene in mente che ci dovrebbe essere almeno uno che controlla se l’altro fa il suo mestiere? Che dite, penso al gestore della rete ferroviaria, penso a chi fa il pieno di utili con il Frecciarossa, non vi è mai venuto in mente di mettere in funzione non uno ma cinquanta robot o cinquanta droni che rilevano tutto quello che avviene sui binari, che segnalano il rischio dell’errore umano in tempo reale? Rete ferroviaria italiana e Ferrovie dello Stato, stiamo scherzando o facciamo sul serio? Vogliamo dire che tutti i mega utili che incassate e, in parte, dissipate (alla voce FS) andando a prendere in giro per il mondo la gestione delle reti ferroviarie che non rendono e dalle quali gli altri scappano, vi costringono a chiudere il borsellino della sicurezza?

Diciamo, è vero: c’è stato un errore umano di uno che non ha chiuso il deviatoio. Diciamo, però, che di errore umano ce ne è stato un altro (infinitamente più grave) di chi non ha pensato a organizzare una rete di controlli di alta tecnologia che vigila sull’errore umano non possibile ma certo. Anzi sui mille errori umani possibili. Potremmo dire che è un errore (capitale) simile a quello che consente a capi-azienda di operatori economici di mercato, interamente controllati dallo Stato, di tagliare l’Italia in due.

Garantire un treno ogni venti minuti tra Milano e Torino e zero assoluto da Napoli a Bari o da Napoli a Reggio Calabria/Palermo. In questo caso, per la verità, prima ancora dell’errore, ci sono la vergogna civile e economica della politica. Perché a fermare gli investimenti a Firenze, con l’eccezione di Napoli, sono i manager di oggi e quelli di prima e quelli di prima di quelli di prima. Il principale responsabile di tutto ciò è la politica che serve in modo miope il potere dominante e toglie il futuro all’Italia. Oggi sotto accusa, sul tema vitale della sicurezza, ci sono le stesse persone che non sviluppano la rete ferroviaria lì dove serve e che dimostrano carenza progettuale e gestionale. Nessuno di questi signori può oggi dire io non c’entro niente perché lui è pagato per organizzare l’esistente e immaginare il futuro. A questo servono i manager non per andare ai convegni.

Ciò che emerge, e inquieta, è uno Stato che fa fatica da tutte le parti. Una classe dirigente che sceglie i manager bravi non si troverà mai a fare i conti con uomini che non hanno progettualità, che non hanno in mente il processo, che rinunciano a organizzare il presente pensando al futuro. Non dovrà mai chiedere che cosa avete messo di investimenti nell’area dove la sicurezza manca. Sono tutti bravi questi manager per la politica ma sono bravi perché loro li hanno messi lì e perché a loro rispondono per questa o quella clientela, per questo o quell’affaruccio a loro caro in casa e fuori. Se hanno un po’ di rispetto per se stessi e per i loro elettori questi uomini della politica, e soprattutto di governo, devono capire che a loro tocca di scegliere manager bravi, non gli amici degli amici, per di più sempre meno competenti visto il giro di frequentazioni dei nuovi arrivati.

La politica deve fare sentire il suo peso a chi guida le aziende di cui controlla il capitale. Avete azzerato l’investimento pubblico in infrastrutture al Sud? Ora recuperate a tempi di record. Sud, sicurezza, quanto investi, ma soprattutto come investi? Queste sono le domande che lo Stato deve sapere fare ai suoi manager con la forza che gli deriva dall’esserne azionista. Questa è la forza di uno Stato azionista che rispetta l’autonomia del manager e agisce in autonomia. Nulla di tutto ciò è possibile se lo Stato si riduce al piccolo mercimonio della politica.


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