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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

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UN GIOCO pericoloso, oltre che sgradevole. Questo balletto permanente sulla prescrizione con annesse chiacchiere di scioglimento delle Camere subito dopo il referendum. Se a spezzare l’agonia del Conte 2 tra giustizialisti e garantisti, tutti fuori misura, non ci riescono neppure i rischi che corre il mondo con il dilagarsi dell’epidemia da NCV (Nuovo CoronaVirus) nella più grande economia della terra, qual è oggi a parità di potere d’acquisto la Cina, vuol dire che siamo irresponsabilmente fuori dalla realtà.

Stiamo parlando di qualcosa che copre quasi il 20% dell’attività economica del pianeta e, poiché questo qualcosa è anche l’economia che si è sviluppata finora a un tasso più che doppio rispetto al resto del mondo, il contributo alla crescita globale sfiora il 40%. Questo contributo (chiaro?) è oggi in discussione. Che cosa dire, poi, di una Germania che vede la sua produzione industriale crollare ai minimi dal 2009? Siamo consapevoli che, sulla base di questa nuova caduta, diventa realistica la prospettiva di una recessione tecnica per la prima economia d’Europa? Ci rendiamo conto o no che al gigante malato tedesco è aggrappata gran parte di quell’industria del Nord Italia che ne è subfornitrice di qualità o contoterzista di bassa lega?

Che cosa deve ancora succedere, mi chiedo, per svegliarci da questo insopportabile torpore della politica nazionale che continua a ignorare l’unico vero problema sistemico di cui ha oggi l’obbligo di occuparsi che è il Mezzogiorno? Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ne ha piena consapevolezza (si legga il colloquio con Laura Sala che apre il giornale) e il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, su questo terreno non su altri, deve dimostrare di avere voce e di avere seguito. L’unico progetto Italia che può rimettere in cammino il Paese è un grande piano di investimenti infrastrutturali nel quadrilatero dimenticato di Napoli-Bari-Taranto-Gioia Tauro che colleghi le due grandi aree metropolitane del Mezzogiorno e i quattro porti con una rete di alta velocità e di alta capacità ferroviarie che arrivi alla punta della Calabria e prosegua in Sicilia almeno fino a Palermo.

Questo significa reagire alla crisi globale restituendo all’Italia una dimensione infrastrutturale e industriale adeguate per competere nella arena globale e, allo stesso tempo, rivitalizzare il suo mercato interno. Bisogna convincere il Nord che il suo futuro è legato alla ripresa del Sud.

Bisogna fare capire alla sua classe dirigente che si tratta di risolvere il problema di tutti non di qualcuno. La sfida di oggi è rimettere in piedi il Paese nel suo complesso perché l’alternativa è la secessione con le due Italie destinate, chi prima chi dopo, allo stesso declino. La pesantezza della crisi mondiale, a maggior ragione, deve spingere tutti a operare per ricostruire lo spirito nazionale e, dopo anni di scippo sistemico di risorse pubbliche al Sud, va data in modo condiviso la priorità alle infrastrutture di sviluppo nelle regioni meridionali. Il Nord deve capire che la missione è recuperare il Sud all’unità nazionale quasi più nel suo interesse che altrui. Il Sud deve rompere il tabù che è stato costruito a arte per cui non sarebbe capace di utilizzare ogni genere di finanziamento (negli ultimi venti anni peraltro falcidiato) con una forte presa di coscienza e impiegando le prime risorse disponibili per acquisire il capitale umano all’altezza della sfida. Si tratterebbe di fare una cosa buona che non aiuta solo l’Italia.

Il contesto internazionale obbliga a andare in questa direzione perché l’Europa e il mondo hanno bisogno di trovare nuove aree di investimenti e, diciamocelo, da Napoli a Pantelleria c’è posto per tutti a partire dal capitale europeo. È già successo in Spagna e nei Paesi dell’Est, perché non dovrebbe accadere nella sponda meridionale italiana che spalanca al nostro Paese e all’Europa le porte della leadership nel Mediterraneo con gli snodi strategici mediorientali e africani? Siamo al bivio decisivo. Se vogliono continuare a governare, le forze della coalizione devono tutte fare il medesimo passo indietro dalle vecchie beghe politiche e chi dirige il governo deve dimostrare di sapere guidare questo delicato processo. In tali frangenti si vede chi ha funzioni di statista e chi no, chi ne ha la stoffa e chi ne è sprovvisto.

Bisogna che Conte capisca che l’esercizio di queste funzioni provoca contraccolpi, a tratti isolamento, ma restituisce dignità alla politica e ripaga personalmente. Soprattutto onora l’interesse nazionale. Altrimenti puoi durare anche tre mesi di più, ma poi non ti recupera più nessuno, sei destinato a sparire. La grandezza di un uomo politico è che puoi perdere anche un punto ma poi ritorni perché hai dimostrato di valere. Stando zitto prolunghi solo la tua agonia. Ne vale la pena?


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