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La follia delle Regioni è sotto gli occhi di tutti. Per favore almeno per un po’ nessuno venga a parlare di maggiore autonomia. Adesso bisogna avere anche numeri telefonici diversi per segnalare i sintomi sospetti di Coronavirus e taciamo per carità di patria sui tempi e la gentilezza di chi risponde dall’altra parte. Il primo problema di questo Paese è la sua catena di comando costruita su misura di venti staterelli che si fanno la guerra tra di loro, quindi, costitutivamente destinata al fallimento. Il secondo è la qualità degli uomini della sua classe dirigente che ha nel concentrato di poteri e di risorse indebite nelle mani dei capi dei carrozzoni regionali del Nord il primo ostacolo alla sua formazione.

In assoluta solitudine sosteniamo da mesi che bisogna tornare al sistema sanitario nazionale perché anche le strutture che garantiscono cure eccellenti conoscono a menadito la strada della buona ricerca e delle superfatture foraggiate dai contributi di Stato, ma molto meno quelle dell’impegno sistemico per assicurare la sicurezza sanitaria e l’igiene pubblica investendo sulla prevenzione. Noi non avevamo bisogno del Coronavirus per capire qual era il problema dei problemi italiani perché se siamo diventati il terzo Paese al mondo per contagi lo si deve prima di tutto all’assenza di buone pratiche negli ospedali lombardo-veneti coinvolti e a una sottovalutazione evidente a partire dai pronto soccorso del fenomeno con cui si aveva a che fare.

Questo Paese ha un disperato bisogno di un coordinamento nazionale e di poteri speciali a livello centrale e ha bisogno che a esercitarli siano uomini come Bertolaso che sappiano mettere in fila capi e capetti vari sui territori. A errori evidenti di prima, non si può replicare con un piano di emergenza (assolutamente necessario) che esprime la costitutiva frammentazione di poteri e rischia di alimentare solo panico e isteria. Con la salute dei cittadini e con l’economia di un Paese non si scherza. Perché il tema ora non è più globale, ma solo, maledettamente, italiano. Perché è l’economia italiana che sta peggio di tutti in Europa in quanto continua a fare assistenzialismo al Nord con le risorse che dovrebbe impegnare al Sud per fare infrastrutture di sviluppo. Perché è l’Italia, anzi la sua macroregione lombardo veneta, il nuovo caso Italia globale del flagello Coronavirus. In pochi giorni abbiamo bruciato tutti i record. Non solo siamo l’unico Paese europeo con tassi di contagio asiatici, ma scaliamo posizioni anche di là perché siamo riusciti a superare perfino il Giappone. In un solo giorno abbiamo bruciato 30 miliardi di capitalizzazione in Borsa e abbiamo prenotato una recessione che nessuno ci potrà togliere. Potrà variarne solo la consistenza.

Ma dove credete che possa andare un Paese che non trova il sostituto dell’omino che schiaccia il pulsante alla stazione di Casalpusterlengo perché, come comunicano le Ferrovie dello Stato, sono in corso controlli sanitari e attività precauzionali di sanificazione dei locali tecnici? Altri capi azienda si sarebbero messi la tuta e andavano loro a premere il pulsante, ma prima avrebbero avuto la fila per scegliere il sostituto del capostazione sotto osservazione. Noi abbiamo spedito chi stava sul treno a Bologna diretto a Milano a farsi un giro a Verona/Padova per poi rigirare da lì verso Milano.

Dove sono le Authority che si impicciano politicamente sempre di tutto e dove è la mano ferma di comando centrale di cui questo Paese ha bisogno nei trasporti come nella sanità? Nord e Sud tornino a marciare insieme. Possiamo andare avanti con il Governatore della Basilicata che vuole bloccare l’ingresso di lombardi e veneti nella sua regione? O con i Governatori senza memoria storica che, dopo avere fatto dell’Italia la Cina d’Europa per non avere garantito un’allerta preventiva, sanno solo dire che loro avevano detto all’Italia di fare quello che non ha fatto nessuno e, cioè, di mettere in quarantena chiunque entri in questo Paese proveniente dalla Cina? Si doveva fare di più e meglio, anche qui, da Roma, ma è sempre lo stesso problema. L’Italia ha bisogno di riavere la sua catena di comando che parli a tutti e, soprattutto, parli in tempo reale.


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