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Il premier Giuseppe Conte

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I soldi ci sono, mandate gli assegni a casa. Sono crollati tutti i muri, ma ce ne è uno di cui non parla nessuno che può bloccare tutto. È quello dei direttori di banca e dei funzionari dell’Inps con le mani legate. Scrivete per decreto che nessuno di loro si deve avvicinare alle piccole e medie imprese private italiane in questi giorni di guerra. Tanto meno, a artigiani, commercianti, operatori turistici. Piccoli artigiani che restano senza reddito, chi è in cassa integrazione, e i dipendenti privati che continuano a lavorare senza stipendio a causa della crisi aziendale indotta, devono tutti ricevere il bonifico in tempo reale. Devono rimanere a casa, ma devono continuare a mangiare. Si adotti un criterio uguale per tutti. Esempio: vedo quanto hai guadagnato l’anno scorso e ti do il netto, ovviamente con un limite. Così sono fuori gioco anche i furbi.

A chi ripeterà il disco incantato del debito pubblico italiano, rispondete che siamo in guerra, forse non lo ha capito, che i soldi li dà tutto il mondo, che tutti stampano moneta e che, pertanto, entro un anno l’inflazione ripartirà. A quel punto anche gli indebitati come lo Stato della Repubblica italiana avranno percentualmente meno debito reale perché l’inflazione farà il suo e la condivisione europea dei debiti sovrani avverrà, magari in più tappe ma inevitabilmente. D’altro canto, l’alternativa a spendere è chiudere.

Prima del Coronavirus almeno la metà delle imprese private italiane già lottava tra la vita e la morte. Possono sopravvivere perché hanno la tecnologia e i mercati, ma possono andare all’altro mondo perché c’è sempre almeno un parametro che non riescono a soddisfare delle nove categorie che ti chiede il zelante direttore di banca. Se muoiono queste imprese muore il lavoro italiano. Abbiamo vinto le prime due battaglie in Europa, i soldi della Bce e l’addio ai vincoli del Patto di stabilita europeo, ma dobbiamo vincere la Grande Guerra. Solo se abbandoniamo l’abito della ipocrisia e siamo capaci come classe dirigente e comunità di un ripensamento globale, potremo vincere la Grande Guerra. Altrimenti, tutto tornerà come prima. Anzi, molto peggio.

Dobbiamo uscire dalla bolla italiana che lede la sua reputazione internazionale. Nella bolla ci sono i riti fuori della storia di partiti vecchi e nuovi e il format del talk show unico dove (tranne poche eccezioni) una “rappresentazione teatrale” sempre più decadente – i soliti galli che si beccano nel solito pollaio – vince sulla realtà e sbriciola i valori della competenza e del merito. Questo sistema fa parte della malattia italiana. Perché consente ai nani di eliminare i giganti o di trovare comunque il modo per sbarazzarsene.

Ha finito per fare diventare l’Italia una società di mutuo soccorso tra mezze calzette, mezzi uomini e mezze donne. Noi invece abbiamo bisogno subito di una squadra di uomini di guerra che evitino la maionese impazzita del blocco totale italiano invece di intervenire sulla macchina regionale scassata della Lombardia. Poi, servono i nuovi Glisenti, Bernabei, Fabiani, Mattei, Pescatore per togliere la guida dell’Italia ai reggicoda e ai reggistampa e avviare il decennio della ricostruzione italiana. Il nuovo ’29 mondiale obbligherà i Grandi della Terra a fare la nuova Bretton Woods invocata da Ciampi almeno dieci anni fa. Le due conferenze che hanno creato il Fondo monetario e la Banca mondiale si fecero durante la guerra. Succederà anche questa volta. Vogliamo presentarci con la squadra dei reggicoda?


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