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Bisogna evitare che emerga il problema della solvibilità dell’Italia prima dell’estate con i dati del prodotto interno lordo sicuramente in caduta libera. Bisogna impedire che l’Italia torni a essere lo Stato da vendere – non la Spagna, il Portogallo, la Grecia – nella Grande Depressione mondiale di oggi come fu nel novembre del 2011 con la Grande Crisi dei debiti sovrani. Non perché spende troppo e a pioggia, ma perché è incapace di spendere. Perché restiamo la terra dei “governatori dei conti pubblici” e dei “governatori territoriali” che litigano tra di loro e hanno il freno a mano tirato su tutto. Perché consentiamo a uomini inadatti per i tempi di pace di dettare legge addirittura nei tempi di guerra. Perché i cosiddetti tecnici continuano a dire alla politica che cosa deve fare e si illudono di potere continuare a massacrare tutti con gabelle di ogni tipo per garantire i loro stipendi pubblici. Addirittura ridicolo.

Se l’economia affonda, lo Stato non continua a pagare gli stipendi ai suoi funzionari, ma chiude. Oppure galleggia con le sue sovrastrutture burocratiche e bancarie che bloccano qualsiasi cosa tu possa fare, ma dura poco. Hanno anche la memoria corta, questi frenatori di professione e chi consente loro di stare nei vagoni di testa del treno quando dovrebbero essere confinati negli ultimi. Con una crisi di rango molto inferiore ricordo ciò che vidi con i miei occhi mentre camminavo, nel 2012, per via Roma a Torino. Due negozi chiusi e uno rimasto aperto. Poi altri due con le saracinesche tirate e uno o due mezzi aperti. I mercatini presi d’assalto, a frugare tra le cassette di verdura, le file alle mense della Caritas.

L’Agenzia delle Entrate costretta a chiedere aiuto ai carabinieri perché la gente piange o urla: che faccio? pago il riscaldamento o pago le tasse? Si saldarono le proteste di chi non aveva più reddito con quelle degli anarco-insurrezionalisti, ma se ne venne comunque a capo. I nuovi poveri di oggi possono essere molto meno educati. Sono murati in casa da settimane, non vedono il becco di un quattrino, si cominciano a chiedere di che morte moriranno. La dignitosa tristezza di quei giorni di Torino che ho impressa negli occhi non riflette lo spirito di sgomento e di rabbia di questi giorni. Anche nel mondo dell’irrealtà delle scartoffie bisogna che ne prendano coscienza e se ne facciano una ragione. In fretta.

Dal novembre del 2011 – l’Italia non il mondo a un passo dal default sovrano come l’Argentina – è cambiato tutto. La Banca Centrale Europea guidata dal più americano dei nostri banchieri centrali, Mario Draghi, ha salvato l’euro e è diventata una potenza di fuoco rispettata e temuta sui mercati finanziari globali. Madame Lagarde che ne ha raccolto l’impegnativa eredità, dopo una gaffe iniziale clamorosa, si muove nel solco tracciato con lungimiranza da Draghi e pompa liquidità nel sistema con armi non convenzionali.

Non l’Italia, la Spagna, la Grecia e, cioè, i Paesi del Sud Europa, sono a rischio, ma sono fermi i motori mondiali dell’economia come Stati Uniti, Cina e l’intera Europa. Nulla sarà più come prima e noi tra una propaganda e l’altra vogliamo trasformare la Banca Centrale Europea da prestatore di ultima istanza a prestatore di prima istanza per sempre senza nemmeno renderci conto che così alimentiamo il disordine finanziario e aumentiamo vertiginosamente la nostra vulnerabilità. Non c’è più tempo da perdere.

Abbiamo bisogno di uno Stato digitalizzato oggi pagatore di contributi a fondo perduto e domani semplificatore dell’investimento pubblico e privato. Il presidente del Consiglio deve prendere in mano la situazione e dimostrare con i fatti che la macchina funziona. Che oggi arriva la liquidità e che domani ripartono gli investimenti. Abbiamo un’occasione irripetibile per fare l’unificazione infrastrutturale del Paese e dimostrare al mondo che abbiamo cambiato testa. La ricostruzione economica italiana ha bisogno di una squadra di uomini di guerra e di società a capitale pubblico di mercato che sanno muoversi tra le macerie del nuovo debito pubblico mondiale e rimettano al centro l’economia reale e il talento dei nostri giovani. Solo la politica, però, può consentire tutto ciò. Vanno riformati in corsa il diritto amministrativo e il diritto civile. La semplificazione delle procedure è oggi la priorità per la crescita e la clausola di salvaguardia della nostra solvibilità. Senza di essa si gira a vuoto. RI-FATE PRESTO.


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