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Dal 2008 al 2012 tagliati brutalmente 22,3 miliardi destinati al Mezzogiorno per soddisfare le “misure di stabilizzazione della finanza pubblica” e oggi si continua a tagliare giocando tra competenza e cassa

In questo Paese cialtrone può accadere che il costo dell’austerità delle due Grandi Crisi, prima Finanziaria poi Sovrana, lo paghi interamente una parte del Paese, quella sicuramente più bisognosa, e che tutto ciò avvenga nel silenzio generale interrotto solo da compiaciute e ripetute lezioni di biasimo dei ricchi avvantaggiati nei confronti dei poveri derubati. Oggi, cari lettori, compiamo la seconda operazione verità.

Quanti di voi sanno che, dal 2008 al 2012, le cosiddette “misure di stabilizzazione della finanza pubblica” del governo della Repubblica Italiana sono state assunte tagliando brutalmente 22,3 miliardi di euro interamente destinati al Mezzogiorno dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione? Avreste mai creduto che il costo dell’austerità per un Paese in balìa della speculazione finanziaria e di una pesante crisi di credibilità potesse essere messo tutto sul conto delle popolazioni meridionali? Che si avesse l’ardire di proteggere viceversa i ricchi con risorse straordinarie per la Cassa integrazione a loro volta sottratte dalla quota di cofinanziamento dei fondi strutturali europei 2007/2013 anch’essi destinati dall’Europa non all’Italia ma alle sue regioni meridionali?

Siamo senza parole. I fondi ordinari per il Sud sono diventati negli anni di pre-default il bancomat dello Stato e quelli cosiddetti straordinari la cassa sociale per le crisi industriali del Nord. È avvenuto con tre distinte delibere (112/2008, 1/2011, 6/2012) del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) approvate con l’esclusiva motivazione di maggiori esigenze di controllo della finanza pubblica. Per capirci: si sono tolti in rapida sequenza 22,3 miliardi alla spesa per incentivi e investimenti pubblici destinata alle regioni meridionali per soddisfare ragioni generali di rigore (riguardano il Nord e il Sud del Paese) lasciando che circolasse la favola del Mezzogiorno incapace di utilizzare le risorse ordinarie e comunitarie disponibili (in realtà decimate) e continuando a trasferire decine e decine di miliardi non dovuti di spesa pubblica sociale alle regioni ricche con il trucco della Spesa Storica (prima operazione verità: ballano 60 miliardi) ugualmente sottratte alle regioni meridionali.

Non è vero che il Mezzogiorno non sa spendere e il Nord sì, o meglio è vero in misura minore di quel che si crede e non sempre. Ciò che è prevalentemente successo è altro: quelle risorse sono state brutalmente tagliate. È una storia che amaramente si ripete: si continua a sventolare in tutti i talk qualche documento contabile con cui si accredita che lo Stato ha messo 40/50 miliardi sulla spesa per il Mezzogiorno ma questo Mezzogiorno non sa cogliere l’opportunità, non è capace di fare progetti. Bene, si confonde la competenza con la cassa: per cui nell’anno 2020 sono 6,9 miliardi di competenza e 1,7 di cassa che deve, a sua volta, coprire il rifinanziamento del credito d’imposta al Sud. Siamo alle briciole delle briciole accompagnate dalla solita litania: ci sono 40/50 miliardi e non li sanno spendere.

Intendiamoci: se a livello centrale o locale fossero capaci di spendere qualcosa in più la Ragioneria dovrebbe mettere all’incasso, ma state tranquilli che la volontà politica che si è impegnata a rispettare i parametri collegati alla cassa non alla competenza troverebbe mille stratagemmi per mettere in difficoltà anche la squadra dei migliori tecnici che il nostro Paese può mandare in campo. Che sono proprio quelli della Ragioneria e del Tesoro.
Non smetteremo mai di chiedere una struttura snella a livello centrale che si metta al servizio di Regioni e Comuni per fare infrastrutture di sviluppo. Sia chiaro, però, a tutti che il muro che dovrà scavalcare non è quello medio-alto dei buoni progetti ma quello altissimo di una volontà politica che si è abituata da vent’anni a togliere investimenti pubblici al Sud per regalare cassa integrazione al Nord, soddisfare le pretese dei produttori del latte, degli obbligazionisti veneti e di alluvionati vari, sistemare gli amici degli amici nel coacervo di enti pubblici proliferati con la spesa facile. Tutti sempre regolarmente collocati nelle regioni ricche. Senza condividere la doppia operazione verità l’Italia non uscirà mai dal cialtronismo imperante. I furbi continueranno a fare i furbi, ma un bel giorno scopriranno che tanta astuzia ha reso poveri anche loro.


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