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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte

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VOGLIAMO dire che il lavoro è ben fatto. Non sarà facile realizzarlo, ma si individua lo sforzo di impostare un’azione di carattere sistemico. Qualcosa che guarda lontano, nonostante il fantasma della crisi di governo, ma vuole dotarsi di strumenti che consentano anno dopo anno di fare le cose. La sfida di unire l’Italia fa tremare vene e polsi non per le decine di miliardi in gioco – sono quelli che si conoscono, non ce ne è uno in più – ma perché si affronta, per la prima volta, il nodo cruciale del meccanismo di spesa dove tutto si inceppa.

Sono tre i punti chiave.

Primo. Vincolare gli impegni di grandi aziende come le Ferrovie dello Stato.

Secondo. Evitare lo svuotamento sistemico di quote di spesa pubblica dovute per il cofinanziamento nazionale dei fondi comunitari.

Terzo. Riattivare il braccio nazionale delle politiche di coesione con l’obiettivo di modificare i meccanismi per recuperare capacità di programmazione e di esecuzione utilizzando, dove necessario, i poteri sostitutivi. Questo punto è il più qualificante perché prova a togliere dal tavolo l’alibi di un Sud incapace di spendere o capace di spendere male, cose a volte accadute, ma in misura minore della sottrazione sistemica di risorse pubbliche di sviluppo destinate al Sud e dirottate invece a finanziare il peggiore assistenzialismo al Nord.

Per queste ragioni, ora che il piano lo abbiamo in mano, sentiamo di segnalare la (effettiva) coerenza meridionalista del premier Conte e il lavoro sistemico condotto sulla materia dal ministro Provenzano. Soprattutto, ci colpisce che entrambi indicano finalmente nel piano per il Sud un Progetto per l’Italia. Questa è stata, è e sarà la battaglia del nostro giornale. Siamo partiti dieci mesi fa da un dibattito egoistico che si nutriva di falsità allo stato puro come il residuo fiscale e di una autonomia differenziata predona che aveva il solo scopo di dare ancora di più al Nord attingendo a quelle risorse pubbliche nazionali per le quali ancora vige un minimo di solidarietà.

Siamo arrivati alla realtà di oggi dove nessuno più discute i numeri dell’operazione verità lanciata da Il Quotidiano del Sud e il senso comune percepisce che fare un treno di alta velocità e di alta capacità ferroviarie che collega Napoli a Bari e Napoli a Reggio Calabria e, di qui, a Palermo significa prima di tutto salvare quel che resta del Nord produttivo che può recuperare una dimensione infrastrutturale, industriale e di consumi nazionale e dare così un futuro all’Italia intera. In questo piano,si parla e si calcola il valore dell’interdipendenza Nord-Sud d’Italia che è l’unica solida e duratura per un Paese trasformatore e esportatore come l’Italia e che non può essere l’interdipendenza a senso unico tra Nord Italia e Nord Europa, inteso essenzialmente come Germania. C’è una tabellina con i suoi 33,5 miliardi che rappresenta il cuore della sfida infrastrutturale del piano. Vigileremo coerenze, cassa e operatività senza sconti per nessuno.

Oggi, però, si è abbattuto il muro ideologico contro cui è nato questo giornale ed è giusto darne riconoscimento pubblico a Conte e Provenzano. Qualche pietra di quel muro si coglie nel programma per la presidenza di Confindustria di Giuseppe Pasini, imprenditore bresciano di prima grandezza. Parla giustamente di giovani e di “Visione Paese”, ma in nove pagine di programma i vocaboli Sud, Meridione, Mezzogiorno non appaiono neppure come parola. Anche questa può essere una visione, purtroppo. È proprio quella che costringe il Nord produttivo lombardo-veneto a fare i conti con la sua fragilità che è la dipendenza assoluta dalla grande industria tedesca. Il futuro dell’Italia non può essere quello di un’economia contoterzista o subfornitrice, più o meno di qualità, a seconda dei casi. La rinascita del Nord può partire solo da Gioia Tauro. Deve essere la sua classe dirigente a pretenderlo. Di questo Conte e Provenzano ne sono consapevoli. Il fantasma della crisi di governo non potrà rimuovere il problema.


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