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Volontari a Venezia dopo l'acqua alta

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L’ITALIA è un paese ad alto rischio idrogeologico, si sa bene, e per la sua posizione e conformazione è esposta a terremoti, allagamenti e altri eventi naturali che possono danneggiare le opere dell’uomo. Se a questo aggiungiamo i cambiamenti climatici che stanno sconvolgendo le stagioni, otteniamo i diversi episodi di allagamenti, alte maree e frane che hanno interessato un po’ tutta la penisola e hanno causato gravi danni nell’ultimo mese. A Genova un viadotto è crollato in seguito ad una frana, Matera è stata colpita da una violenta alluvione che ha causato danni nei Sassi e altre città del sud Italia sono state colpite da inondazioni e ingenti quantità di pioggia. La zona più colpita e che ha destato più preoccupazione è sicuramente Venezia, per il patrimonio artistico che è stato danneggiato, per le attività e le case che sono state inondate dall’acqua e per l’impotenza difronte all’avanzare inesorabile dell’acqua. Numerose sono state le critiche per il mancato funzionamento del MoSe, la diga di protezione ancora da completare, che non è entrata in funzione. I volontari, però, insieme alla Protezione Civile si sono rimboccati le maniche e si sono messi a disposizione della popolazione per prestare soccorso. Tiziano Ballarin è uno dei giovani volontari che ha prestato aiuto fin dalle prime ore della marea, insieme ad altri ragazzi dell’associazione Generazione ’90, e ci ha raccontato come ha vissuto quelle ore e cosa pensa si possa fare in futuro per evitare che disastri come questo si ripresentino.

Raccontaci le prime ore dell’alluvione, quando avete saputo che la situazione era grave e sarebbe peggiorata.

«Il picco di marea era previsto alle 22.45 di soli 145 cm sul medio mare. Fino alle 19 circa la situazione era sotto controllo, una marea che seppur eccezionale era ancora abbastanza tollerabile per Venezia ed i veneziani. Già alle 20 la marea, sospinta da forti venti di scirocco e bora, aveva raggiunto terra in molte parti della città. Da quest’ora in poi abbiamo capito che qualcosa non andava. Il centro previsioni maree, organo che informa la cittadinanza, era in difficoltà e non era più in grado di definire con esattezza quale livello di marea si si sarebbe raggiunto. Gli aggiornamenti si susseguivano d’ora in ora, sino ad arrivare alla previsione di 190 cm per le 23. In quel momento il pensiero è andato a famiglie e negozianti con appartamenti ed attività ai piani terra, una catastrofe».

Come vi siete organizzati per dare aiuto e soccorso?

«L’acqua quando avvolge la città lascia impotenti, si resta fermi ed inermi. Si poteva solo aspettare che calasse. Sin dalla notte stessa la solidarietà è stata molta. Chi aiutava le vicine persone anziane, chi andava dall’amico negoziante. Il tamtam si diffondeva con i classici mezzi social e con il passaparola. Molti i giovani che sono scesi per le strade coordinandosi con la protezione Civile e scegliendo interventi mirati nelle case più disagiate, come ha fatto Generazione ’90, associazione di giovani veneziani e realtà che da un po’ di anni è riferimento dei ragazzi in città».

La popolazione, pur essendo abituata a convivere con l’acqua e alta, come ha reagito a questo evento eccezionale? C’è stato spirito solidale?

«La solidarietà non è mancata, come sempre ci si è rimboccati le maniche per come si poteva. Subito dopo però, subentra la frustrazione nel vedere ancora una volta Venezia impotente dinanzi ai cambiamenti climatici. Un’opera come il MoSe, se funzionante, forse avrebbe potuto evitare tutto questo. Ma siamo ancora, ed è il caso di dirlo, in alto mare».

I turisti, invece, come hanno reagito trovandosi nel mezzo di un’alluvione?

«The show must go on, mi verrebbe da dire: le processioni di turisti in fila armati di cellulari e stivali usa e getta non sono mancate. Per i turisti è stato normale in alcune occasioni di marea estrema tuffarsi e nuotare in piazza San Marco o per le calli. Gesti e situazioni che per un veneziano, oltre che far rabbrividire, lasciano molta amarezza».

Pur essendo abituata all’acqua alta, una città come Venezia è preparata ad affrontare eventi eccezionali di questa portata causati dai cambiamenti climatici, secondo te? È in grado di salvaguardare il patrimonio artistico e culturale?

«Attualmente fra scienziati, politici e santoni nessuno ha ancora la soluzione per Venezia. Certo il clima è lapalissiano che stia cambiando. C’è un’opera che è completa quasi al 95% ed è stata progettata per salvaguardare la fragilità della città lagunare. Inutile, come dicono molti, lasciarla incompiuta. Per il momento quella è l’unica soluzione esistente e percorribile per Venezia. Se non funzionerà, prepariamoci ad altri fenomeni di questo grado e sarà sempre più dura fronteggiarli».

Quali conclusioni puoi trarre da questa esperienza come volontario?

«Nel mio piccolo ho aiutato amici e conoscenti cercando di intervenire in casi specifici e mirati. Armato di phon ad asciugare circuiti di lavatrici ormai da buttare, aiutato da stracci e acqua a ripulire dove la mareggiata aveva lasciato i suoi segni. Bravi anche i giovani di tutte le scuole del centro storico, di Mestre e dal Veneto che sono venuti a dar una mano a ripulire le strade. Un’esperienza che seppur tragica ci fa comprendere anche come piccoli gesti possono far riemergere quel senso di comunità e solidarietà che troppo spesso viene messo in discussione dalla paura e dall’odio che respiriamo in Italia nell’ultimo periodo».


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