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Isabella Conti è, da maggio del 2014, il Sindaco di San Lazzaro di Savena. Ultimamente, di lei si sente molto parlare, specialmente da quando ha aderito al progetto politico di Italia Viva, ma anche perché è stata la prima in Italia ad avere istituito asili nido gratuiti. Ho conosciuto Isabella quest’estate, durante Meritare l’Italia, la scuola di formazione under 30 organizzata da Matteo Renzi. In seguito, l’ho contattata per chiederle se fosse disponibile a rilasciare un’intervista.

Di lei si sta parlando tanto, soprattutto in seguito al suo intervento sul palco della Leopolda, da cui ha annunciato il suo ingresso in Italia Viva. Molti si sono soffermati sulla sua giovane età, a dispetto della quale ha realizzato e tuttora opera un’efficace politica amministrativa.

Pensa che l’età anagrafica in politica possa essere un limite, o contano piuttosto le competenze?

«Io mi sono avvicinata alla politica da giovanissima. Sono entrata in consiglio comunale a ventun anni e posso dirle che a quei tempi non era affatto sdoganato, com’è oggi, che vi potessero essere, all’interno della macchina amministrativa, persone anche molto giovani. Ricordo che durante il mio primo anno non intervenni mai. Provavo una fortissima soggezione e non avevo ancora una base esperienziale consolidata. Mi incuteva tanto rispetto quel ruolo, così che i primi tempi li passai ad osservare, cercando di assorbire quanto potevo. Studiavo, tantissimo, perché volevo prima comprendere bene come funzionassero le cose. Col senno di poi, questo fu un aspetto sano del mio ingresso in politica. Essere giovani è una straordinaria opportunità, se associata alla consapevolezza che c’è tanto ancora da imparare. Lo studio è uno strumento necessario e diviene pure estremamente positivo, quando serve a risvegliare un po’ di quella soggezione che genera l’umiltà nel proporsi, anche in giovane età, in modo coscienzioso».

Una delle prime situazioni che ha gestito come sindaco è stata una vicenda piuttosto delicata. Con la decisione di bloccare la ‘Colata di Idice’, si è opposta ad un sistema che si riteneva consolidato e pertanto inviolabile.

Pensa che, per operare un reale cambiamento, ci sia bisogno di avere come punto saldo i propri ideali?

«Il cambiamento passa tenendo sempre l’interesse pubblico come stella polare. Da lì discende tutto. Puoi avere più o meno esperienza sul campo amministrativo, ma, se le tue azioni sono sempre orientate al bene comune, il resto viene di conseguenza. Nel gestire quella situazione io non penso di essere stata un sindaco eccezionale, sono stata piuttosto un sindaco normale. La mia generazione ha visto tanti approcci sbagliati da parte di chi amministrava la cosa pubblica, soprattutto da un punto di vista umano. Avendo coscienza degli errori fatti nel passato, una volta che ci si assume la responsabilità del ruolo, bisogna recuperare la relazione con la collettività. Questo aspetto io lo vedo saldo anche nell’operato di molti miei colleghi sindaci, nell’area metropolitana bolognese».

Sembra che lei ci tenga molto a recuperare questa componente della politica, per la quale mettere in campo il proprio bagaglio personale culturale è imprescindibile ai fini di operare una corretta gestione.
Anche da un punto di vista più prettamente amministrativo, oltre alle politiche di welfare, una buona gerenza può prescindere da investimenti seri sulla cultura?

«La cultura è condizione imprescindibile per una buona gestione, ma va chiarito cosa si intende per cultura. Vi sono casi in cui gli operatori culturali rischiano di apparire respingenti per chi non ha avuto l’opportunità di studiare, per attitudine o possibilità. In quest’ottica, la cultura rischia di diventare un’esclusività di pochi. Se viene utilizzata in contrapposizione all’ignoranza, allora è un termine rischioso, perché tutti ci sentiamo ignoranti. In questo modo, si rischia che sia più facile sentirsi affini a quei politici che deridono l’ambito culturale, piuttosto che a coloro che hanno avuto la possibilità di studiare e sono visti come privilegiati».

Dunque ritiene che sia un termine da ridefinire, anche in seguito ad un’esperienza di governo che ne ha notevolmente svalutato il senso?

«Sì, c’è bisogno di ribaltare il concetto di cultura come patrimonio di tutti, non piuttosto come mera acquisizione di nozioni o studio di alto livello. Per come la intendo io, la cultura è un’attitudine alla vita. È lo spazio vuoto che c’è tra gli individui e la capacità che ciascuno ha di riempirlo, con le proprie competenze. Se recuperiamo questo valore della cultura, allora tutti siamo operatori culturali. Nel nostro territorio abbiamo cercato di portare la cultura a tutti, nel tentativo di non fare sentire nessuno escluso. Perché la cultura si produce anche nella curiosità che ciascuno ha di approfondire ciò che lo appassiona, quale che sia l’ambito in cui si inserisce».

Pensa che, una modello politico che si occupa di promuovere il piano culturale, sia esportabile anche al Sud? Mi riferisco, ad esempio, anche al caso degli asili nido gratuiti, risultato che lei è riuscita a realizzare pure grazie al contributo della Regione.

«A livello di fermento culturale, il Sud è capace di generare tanto, vi sono molte eccellenze. Non ho alcun dubbio sul fatto che vi si possano realizzare risultati strabilianti. Questo anche a scapito delle tante difficoltà, di cui sono consapevole. Però, per quanto riguarda le misure di welfare nello specifico, come il caso dei nidi gratuiti, penso sia necessario un intervento molto forte da parte dello Stato».

Qualcuno ha ipotizzato che l’inasprirsi dell’atteggiamento del PD nei suoi confronti derivi dal fatto che lei possa portare avanti le proprie idee in nome del nuovo partito di Matteo Renzi, conducendo battaglie politiche personali sotto la bandiera di Italia Viva. Pensa che il motivo della durezza degli attacchi dal PD sia effettivamente scaturito da questa sua adesione al progetto di Renzi?

«Io sono sempre stata io, sia quando ero nel PD che ora che sono in Italia Viva. Quella politica che, invece di occuparsi di proporre soluzioni ed individuare strade alternative, si preoccupa più del fatto che un sindaco di provincia, facendo le cose giuste, possa superare in qualche modo il partito di provenienza, è una politica con un pensiero debole. La politica solida è quella che porta avanti le proprie idee e persegue obiettivi riconoscibili. Oggi il PD non è in grado di farlo. Non proporre idee innovative, limitandosi a contestare l’operato altrui, è un classico approccio da opposizione e non è un atteggiamento politico costruttivo. Il grande problema della Sinistra è che è più concentrata nelle sue guerre interne, piuttosto che nel tentativo di elaborare soluzioni concrete ai problemi reali che oggi viviamo».

Matteo Renzi e Isabella Conti

Decidere di lasciare il PD è stata comunque una decisione importante per il suo percorso politico.

«Di molte delle iniziative che ho portato avanti e che ho applicato nel mio territorio ne parlavo da anni, quando ero ancora all’interno del Partito Democratico. Ma lì non ho avuto sostegno o supporto. Se non fosse stato per il presidente Stefano Bonaccini e per Matteo Renzi, non avrei avuto la possibilità di condividere le mie idee, sarebbero rimaste l’esempio di un paesino di provincia. Pur condividendo il campo valoriale della Sinistra, nella quale sono cresciuta, negli anni ho dolorosamente constatato che è una realtà in cui non si parla più di politica. Per me parlare di politica significa cercare nuove strade per tracciare nuovi modelli di mondo, guardando al futuro e non preoccupandosi soprattutto di non pestare i piedi alla dirigenza. Ovviamente la politica è anche strategia, ma se si riduce solo a questo allora diventa tattica e di tattica si muore. Se la politica perde il cuore, perde il contatto con i motivi che la muovono, allora diventa inutile, se non dannosa».

Possiamo dunque dire che è pienamente convinta della sua adesione ad Italia Viva?

«Sono convintissima. In Italia Viva ho avuto la percezione nettissima di stare lavorando con chi sente l’urgenza di dare risposte. Al fianco di chi sa che non è più possibile procrastinare, che il Paese va rimesso in sesto. Molti, come me, sentono che è arrivato il momento di dare una svolta reale. Io sto dove si pensa a soluzioni concrete e dove si vuole lottare per riuscire a realizzarle, perché è questa la mia dimensione».


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